Casini si ritrova isolato sul governo d’emergenza

In parlamento coro di no al leader dell’Udc. Il Pdl: "Non è nell’agenda di nessuno". La Lega la butta sul ridere: "Salute pubblica? Un po’ ci vuole, con questo tempo...". Il Pd rifiuta compatto e Di Pietro si scatena: "Niente trucchi. O si governa o si va subito a elezioni"

Casini si ritrova isolato sul governo d’emergenza
Roma - «Un re che andava fin dalla balia, pazzo pel giuoco dell’altalena». La satira ottocentesca dedicata a Carlo Alberto di Savoia, il celeberrimo «Re Tentenna» che si risolse troppo tardi a muoversi contro l’Austria, potrebbe benissimo dedicarsi a Pier Ferdinando Casini, che non è né principe né re, ma che da tempo coltiva ambizioni non commisurate alle dimensioni dell’Udc che ha poco più del 5% su base nazionale.

 

E così, dopo l’insuccesso alle Regionali della politica dei «due forni», adagio con la destra e in fretta con la sinistra, Casini ha tirato fuori dal cilindro il governo di «responsabilità nazionale». Un ircocervo nel quale dovrebbe ritrovare quel ruolo da protagonista che i cittadini italiani ostinatamente gli negano. Un primo risultato il leader dell’Udc l’ha già portato a casa: s’è fatto praticamente sbattere la porta in faccia da tutto il Parlamento. Maggioranza e opposizione un accordo l’hanno trovato: «Chiedeteci tutto, ma con Pier Ferdinando no!».
L’ha messa sul ridere il ministro dell’Interno leghista, Bobo Maroni. Governo di salute pubblica? «Un po’ di salute ci vuole, perché con questo tempo rischiamo di beccarci qualche accidente», ha detto.

Il Pdl, ovviamente, non poteva accettare. «Non è nell’agenda di nessuno», ha replicato il capogruppo al Senato Maurizio Gasparri lasciando aperta la porta solo a un «atteggiamento responsabile delle opposizioni per quanto ci viene chiesto dall’Europa per affrontare la crisi». Anche il ministro delle Politiche Ue, Andrea Ronchi, molto vicino al presidente della Camera, non raccoglie l’invito democristiano. «L’autorevolezza e la credibilità del presidente Berlusconi e del ministro Tremonti hanno consentito di affrontare la crisi e di trovare una soluzione in ambito europeo», dice Ronchi al Giornale sottolineando come «non possiamo accettare la politica dei “due forni” di Casini che mira alla scomposizione di centrodestra e centrosinistra». Anche Fini è convinto sostenitore del «bipolarismo» e quindi «no a strampalate alchimie».

Ma il vero miracolo Pier Ferdinando l’ha realizzato riuscendo per un giorno a far andare d’accordo le due anime di un Pd sempre più diviso. «Visti i problemi del Paese preferisco lavorare per una seria alternativa», ha ribadito il segretario Pier Luigi Bersani. «Casini non è disponibile a un’alleanza riformista, ma ha in testa un’altra cosa: la tradizione politica dei due forni», gli ha fatto eco Walter Veltroni, «anima nera» della minoranza dem. Anche l’opposizione più opposizione che c’è ha rifiutato. «No ai trucchetti: o la maggioranza governa o si va subito alle elezioni», ha detto Antonio Di Pietro. E pure il comunista Diliberto ha liquidato il progetto casiniano come «la solita solfa».

Non sorprende che ieri Casini abbia precisato di non aver mai parlato di «governo tecnico» ma di «armistizio» e intanto abbia azzerato tutto l’esecutivo Udc in attesa del salvifico Partito della Nazione, chiamato al compito di «rimettere insieme il Paese». Per ora conta solo sulla vicinanza dell’Api di Rutelli, convergenze parallele non sono alle viste e quindi il novello Re Tentenna mostra sensibilità al federalismo e attenzione alla sinistra riformista.

Chissà un nuovo compromesso storico corporativo e spendaccione si può sempre resuscitare. Casini dimentica però la lezione del passato: i liberali piemontesi, stufi di Carlo Alberto, giunsero perfino a rivolgersi a Ferdinando II di Borbone.

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