Caso Fortugno, guerra tra procure sui mandanti politici dell’omicidio

Reggio Calabria indaga sui nemici interni dell’esponente della Margherita, Catanzaro su quelli del Polo. E intanto spuntano nuovi nomi su presunti legami con le cosche. Le strane «sviste» della vedova sugli appalti alla sanità

nostro inviato a Reggio Calabria

Dilaniata da faide interne, la magistratura calabrese arranca in ordine sparso verso il Terzo Livello che avrebbe ordito l’eliminazione di Francesco Fortugno. A poco più di un anno dall’omicidio dell’esponente della Margherita e vicepresidente del consiglio regionale calabrese, poco si sa sui mandanti annidati nei partiti. Al contrario, sugli esecutori materiali dell’agguato del 16 ottobre 2005 a Locri, ci si basa sulle dichiarazioni dei pentiti Bruno Piccolo (affetto da personalità borderline certificata) e Domenico Novella (smentito da qualche riscontro e non creduto sul clan Cordì all’oscuro dell’esecuzione).
Oltre ai due collaboranti la Dda di Reggio Calabria ha chiuso il cerchio sul presunto sicario (Salvatore Ritorto) e su altri presunti sodali, tra i quali Alessandro e Giuseppe Marcianò, padre e figlio, caposala e infermiere di quell’ospedale di Locri che trasuda ’ndrangheta secondo la relazione del Viminale, dove Fortugno lavorava con la moglie Maria Grazia, potente direttore sanitario, figlia del potentissimo Mario Laganà, ex parlamentare Dc, già presidente del nosocomio della Locride commissariato per infiltrazioni mafiose solo nel 2006, a cadavere ancora caldo. I due Marcianò facevano politica attiva per il grande sospettato (e mai indagato) Domenico Crea, primo dei non eletti della Margherita.
Se la presunta manovalanza criminale ha un nome e i presunti mandanti politici sono ignoti o coperti da omissis, la magistratura è in guerra con se stessa. Perché se a Reggio si sta sfogliando l’album di famiglia del centrosinistra, a Catanzaro il pm De Magistris (già oggetto di un’inchiesta ministeriale accantonata da Mastella nonostante un’interpellanza di 40 parlamentari) sta curiosando nel centrodestra tra i vecchi nemici del defunto consigliere. Nel mezzo di questa diatriba c’è la vedova, deputato della Margherita, membro dell’Antimafia, che a Reggio ha inizialmente rinforzato i sospetti sul duo Crea-Marcianò mentre a Catanzaro ha supportato l’iniziativa giudiziaria nei confronti dell’ex parlamentare di Forza Italia ed ex commissario della Asl di Locri, Giovanni Filocamo, indagato insieme ad altre tre persone per vecchie diatribe (febbraio 2002) con l’allora primario Francesco Fortugno sull’istituzione del reparto di Medicina d’urgenza dell’ospedale di Locri.
Ma c’è un problema nel problema. Nell’inchiesta di De Magistris, e velatamente nelle vecchie denunce, si fa cenno a protezioni che Filocamo avrebbe avuto in quella stessa procura dove il Pm lavora a fianco del procuratore Gerardo Dominjanni, imparentato proprio con Filocamo, e che di questa storia sembrerebbe esser disgustato al pari di molti colleghi se non altro perché la sede competente a indagare sui magistrati sarebbe stata Salerno e non Catanzaro. Di contro, a Reggio, la vedova Fortugno è oggetto di un contrasto col procuratore Piero Grasso che ha resistito alla sua richiesta di far intervenire nelle indagini la Direzione nazionale antimafia facendo applicare a Reggio un magistrato della stessa Dna (il candidato sarebbe il reggino Macrì, uomo di Md, oggetto di un’interpellanza durissima del 4 dicembre 1997 presentata proprio da Filocamo). Contrasto culminato con la decisione della vedova, giudicata «incomprensibile» dagli inquirenti, di non far partecipare i suoi avvocati all’incidente probatorio con i due pentiti.
Negli uffici giudiziari dello Stretto in queste ore si scava sui nemici «interni» di Fortugno, a cominciare da quel Domenico Crea, detto Mimmo, consigliere della Margherita, primo dei non eletti dietro Fortugno (ripescato subito dopo la sua morte) e primo sospettato anche per il supporto in campagna elettorale ricevuto dai due Marcianò e dal presunto sicario Ritorto che avrebbero eliminato il vicepresidente del consiglio regionale come ritorsione al venir meno del loro potere clientelare e del loro «ingresso» in Consiglio regionale. Al telefono Crea e Marcianò ipotizzano tradimenti e brogli nei conteggi a favore di Fortugno in intere sezioni, come la 12esima o la Locri 1 (dice Marcianò: «Mimmo, tu eri il primo fino alle due di notte, più di duemila voti (…) questo perché noi non avevamo rappresentanti di lista, lui invece questo cornuto ne aveva in ogni sezione, capito che voglio dire?».
Prima delle elezioni, Fortugno prova a bloccare il passaggio di Crea nella Margherita, ma ne esce sconfitto tanto che il concorrente incassa l’incoronazione dell’intero partito. E di Loiero, che solo secondo Maria Grazia Laganà, si oppone alla sua candidatura. I referenti locali, e anche romani, vogliono Crea. Se ne fregano delle lamentele di Fortugno. «Io faccio parte della Margherita a tutti gli effetti - dice Crea non appena riceve il via libera -, purtroppo a Fortugno gli è sceso male (“ci scindiu mali”) perché sono venuti da Roma. C’era Loiero, c’era Gigi Meduri, c’erano persone di Reggio e si è sancito che io devo scendere con la Margherita».
Con il grande sospettato si schiera da Roma l’attuale viceministro alle Infrastrutture, Luigi Meduri, che all’amico Crea sott’intercettazione confida: «Li ha fatti morire ieri sera, c’era Franceschini, la Bindi... a nome del compare Crea gli ho detto D’Antoni provvedi, una scena da morire, comunque oggi Oliverio ha chiamato Modugno...». Se Scajola diede del «rompicoglioni» a Biagi e fu costretto a dimettersi da ministro, Meduri è stato invece promosso sottosegretario di Di Pietro per aver dato dell’idiota a Fortugno. Testuale: «Io mi meraviglio di Ciccio Fortugno che è un idiota, l’ho scoperto, non lo sapevo che Ciccio è una brava persona ma non capisce niente comunque».
Tant’è. Crea si presenta e perde, a sorpresa. All’indomani dell’omicidio di Locri diventa il Grande Sospettato anche per la vedova che il 17 febbraio 2006 a verbale riferisce delle «perplessità» del marito sulla formazione della Lista: «Non dobbiamo prendere tutto, dobbiamo selezionare sia per opportunità politica sia per questioni di trasparenza. Bisogna accertarsi se c’è qualche problema giudiziario in corso». A Fortugno i pezzi grossi del partito rispondono picche. Ma che dici? Crea è pulito, te la senti tu di escludere uno che ci porta 14mila voti? A Franco Bruno e Nicodemo Oliverio, esponenti importanti della Margherita, Maria Grazia Laganà solleva invano interrogativi sull’entourage del concorrente del marito e sul collega di corridoio in ospedale, Alessandro Marcianò, il cui figlio (che lavorava per Crea insieme al papà) era stato arrestato per traffico d’armi.
Ai proclami della vedova sulla «zona grigia» inattaccata e su un filone «mafia-politica» indefinito, l’ex vicepresidente Antimafia, Angela Napoli di An, inizia a sollevare interrogativi su alcune contraddizioni «poco chiare» della signora Laganà che come direttore sanitario dell’ospedale non si sarebbe mai accorta di quanto poi scoperto dagli ispettori del Viminale. Convocata d’urgenza dalla procura di Reggio, il 30 ottobre scorso il deputato di An sempre molto bene informato sulle cose di ’ndrangheta (vedi il recente caso Vibo Valentia) discute con i Pm di alcuni esponenti di centrosinistra su cui, concorda, è il caso di approfondire. Stando al verbale la Napoli non risparmia la vedova che in qualità di direttore sanitario le ha detto di non conoscere quattro società collegate alla Asl-9, due di Locri e due di Catanzaro, vicinissime alle cosche.
Nell’interrogatorio-bomba che ha costretto i Pm di Reggio a convocare subito la Laganà e di seguito il presidente del consiglio regionale, Giuseppe Bova (Ds), ci si è soffermati su altri big della politica calabrese: da Pietro Fuda (passato con Loiero dalla Margherita al Partito Democratico Meridionale) al consigliere regionale dello Sdi, Cosimo Cherubino, a interessi trasversali per una clinica nei dintorni di Locri, fino a un altro esponente socialista il cui fratello avrebbe cointeressenze in laboratori diagnostici nella Locride, zona dove il controllo dei flussi elettorali da parte della ’ndrangheta è importante e dove il Centrosinistra, alle elezioni incriminate, è passato dal 34% al 70% dei consensi.
Mentre Crea si lascia sfuggire alla trasmissione Anno Zero che Fortugno è stato assassinato perché «sono stati presi impegni che poi non sono stati mantenuti», e che personalmente se ne infischia delle richieste di dimissioni avanzate da Loiero «forte del conforto ricevuto da importanti leader nazionali» (dal presidente del Senato Franco Marini a Rosy Bindi), a Catanzaro, come detto, marcia spedita l’inchiesta parallela, quella sugli appalti della Sanità sfociata negli esposti dimenticati di Fortugno, che hanno spostato a destra la ricerca sul mandante politico che altrove punta a sinistra.
L’ultimo a sfilare in procura è stato, ieri, Agazio Loiero, presidente della regione italiana con il più alto numero di consiglieri indagati. È stato convocato per roba d’appalti, ma dopo le rivelazioni della vedova che ha raccontato del clima di ostilità che si respirava in ospedale verso il marito, sarà ascoltato anche dalla procura di Reggio.

Le «verità» della signora Laganà un risultato lo hanno già raggiunto a Catanzaro: il sequestro delle interpellanze del marito e l’immediata iscrizione sul registro degli indagati di Giovanni Filocamo, ex tante cose, ma soprattutto ex Forza Italia. E tanto basta.
gianmarco.chiocci@ilgiornale.it

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