Il caso Ilaria Alpi e quel premio non assegnato

Vittorio Mathieu

Anni fa mi accadde di far parte della commissione incaricata di assegnare il premio Feltrinelli per un’opera di elevato valore umanitario. Presiedeva il presidente dei Lincei, Edoardo Vesentini, che però, sedendo ex officio, non prendeva posizione. Puntai in un primo tempo su San Patrignano, ma mi accorsi che non aveva possibilità e mi allineai sul parere del giurista Giovanni Conso (l’attuale presidente), in favore di Water for Life: straordinaria impresa di un geologo di Padova, che aveva rivestito, tra l’altro, l’abito talare. Nella disastrata Somalia aveva rimesso in funzione gli impianti d’irrigazione dell’epoca coloniale; aveva organizzato villaggi, uno dei quali era sindaco una donna musulmana. A maggioranza gli fu aggiudicato il premio; ma, prima che la delibera passasse al Consiglio di presidenza per divenire esecutiva, giunse una notizia strabiliante: il vincitore era sospettato di essere il mandante dell’omicidio di Ilaria Alpi.
Era accaduto che, durante una riunione, a cui partecipava il capo dei servizi segreti civili, il terzo canale della Rai, approfittando di un’interruzione, avesse fatto una «zoommata» su un fascicolo rimasto aperto per caso, su una pagina da cui risultata, anonimo, il sospetto in questione. La ghiotta notizia non fu lasciata cadere, giunse anche a un giornale, Il Tempo. Il presidente Vesentini, che di solito non seguiva il terzo canale, aprendo per la Tv fu colpito da quel lacerto di notizia e tornò a riunire la commissione: non si poteva rischiare di dare un premio per l’umanità a uno che poteva risultare il mandante di un omicidio. Copia della cassetta con la registrazione della seduta presso i Servizi (che riguardava tutt’altro argomento) fu distribuita a tutti noi.
Frattanto i due giuristi presenti nella commissione (Conso e Oppo) avevano rivolto lo sguardo verso un altro istituto di alto valore umanitario, dipendente dalle suore salesiane in Eritrea, fortemente raccomandato dalla nostra ambasciata di Addis Abeba e a cui andarono le centinaia di milioni di lire del premio. Avendo vissuto quella vicenda, sono oggi l’ultimo a meravigliarmi di quanto ci riferisce Lino Jannuzzi sui risultati della Commissione parlamentare d’inchiesta che da dieci mesi indaga sul caso Alpi, sotto la guida dell’avvocato Carlo Taormina. Non poteva non colpirmi la serie di coincidenze che aveva ingiustamente privato Water for Life del premio: un fascicolo riservato, rimasto aperto durante l’interruzione di una riunione dedicata a tutt’altro; la macchina da presa della Rai, che lo metteva a fuoco: il presidente Vesentini che casualmente ne era stato colpito, mentre cercava altri canali (più verosimile che, per comprensibile riservatezza, omettesse di dire che era stato messo sull’avviso); una nostra rappresentanza diplomatica che, guardandosi bene dal menzionare la Somalia, portava la nostra attenzione su un’altra ex colonia italiana. Del caso si occuparono allora anche dei parlamentari, tra cui un Ds altoatesino. Di Water for Life non ho più saputo nulla. Spero che continui a prosperare. Non gli mancavano appoggi e, per quel che so, le sue iniziative sono state minacciate, insidiate ma non scalzate dai signori della guerra che imperversano in quelle regioni.

La Commissione d’inchiesta presieduta dall’onorevole Taormina ha accertato che «nulla di quanto è stato scritto e filmato in questi dieci anni ha retto»; ma sarebbe augurabile che scoprisse chi e perché, in questi dieci anni, si è dato tanto da fare.

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