Tira una strana aria dalle parti del Pd e del Terzo polo. Nonostante la bora siberiana di questi giorni, sul centrosinistra investito dal caso Lusi soffia un vento sahariano. Aria di insabbiamento. Il tesoriere con il tesoretto è stato immediatamente retrocesso da scandalo giudiziario a faccenduola politica. Secondo i leader dei due partiti toccati dalle indagini, il caso dei 13 milioni spariti dal bilancio della Margherita dovrebbe essere l’occasione per riformare le leggi sul finanziamento ai partiti. Grandi discussioni in Transatlantico, acceso chiacchiericcio di dichiarazioni, naturalmente nulla di concreto nell’aula dove si decide.
È un polverone creato ad arte per distogliere l’attenzione dall’inchiesta. Accanto al bla-bla dei politici, a confermare il clima da porto delle nebbie c’è soprattutto la proposta di fidejussione che i legali del senatore Luigi Lusi (ora transitato dal gruppo democratico al misto) hanno depositato al procuratore aggiunto di Roma Alberto Caperna e al sostituto Stefano Pesce, che coordinano le indagini. Lusi, indagato per appropriazione indebita, propone di chiudere la partita con un accordo: restituire cinque dei 13 milioni. Incredibilmente, gli ex leader della Margherita sembrano propensi ad accettare la transazione. Il loro legale, avvocato Titta Madia, l’ha anticipato al Corriere della Sera: «Se saranno fornite le garanzie necessarie potrebbe esserci l’accordo, sia pur con la riserva di avviare ulteriori azioni legali». E vai con il silenziatore.
A chi giova un patto simile? Perché il derubato non pretende la riconsegna dell’intero maltolto? Come mai lasciare a Lusi più della metà della somma contestata? Forse che il «compagno L» copre qualcuno cui ha girato parte del denaro? Sono gli interrogativi che si pongono gli inquirenti. La procura della capitale si prepara a sentire come testimoni alcuni parlamentari, tra i quali Renzo Lusetti, Enzo Carra e gli altri firmatari del ricorso civile che impugnò la validità dei rendiconti relativi al periodo 2009-2010. I magistrati vogliono verificare se davvero Lusi abbia fatto tutto da solo, architettando un’impalcatura finanziaria fatta di scatole cinesi estere che hanno fatto entrare e uscire dall’Italia i soldi del finanziamento pubblico.
Davvero nessun altro era al corrente di questa complessa gestione dei fondi, spregiudicata e abilissima? E una quantità di denaro così ingente è scivolata via a uso esclusivo dell’ex tesoriere della Margherita poi diventato senatore democratico? Ma il sospetto dei pm è anche un altro: potrebbero esserci state ulteriori appropriazioni illecite di fondi. Presto saranno esaminati tutti i documenti contabili del partito confluito nel Pd. Una delle ipotesi, ancora priva di riscontri, è che Lusi contasse sull’omertà di qualche collega, complice o ricattabile.
Contro l’eventualità dell’accordo «tombale» ieri si è levata una sola voce nel Pd. Non è quella di Bersani o altri «big» del partito, ma dell’onorevole Franco Monaco: «Non so quale strano organo della Margherita, e a quale titolo, si appresterebbe a sottoscrivere una transazione di 5 milioni con la quale pretenderebbe di chiudere il contenzioso. Non si azzardino a farlo». Monaco se la prende anche con «quelle risorse» che sono state «distribuite a questa o quella cordata di ex margheritini interni al Pd sotto la esile copertura di associazioni, fondazioni o quant’altro. Altrimenti il Pd che lo abbiamo fatto a fare?». Soltanto lunedì si riuniranno i garanti del Pd per prendere eventuali provvedimenti contro il senatore.
Ed è da chiarire un altro giallo: quello del rientro dei soldi dal Canada.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.