Cultura e Spettacoli

Il caso Max Pezzali La normalità del pop domina la classifica

Dedica le canzoni alla moglie e dice: «Sono nella musica per caso». Ma finora ha venduto sei milioni di dischi

Il caso Max Pezzali La normalità del pop domina la classifica

Paolo Giordano

Ma sì è Pezzali. Va be’ è Max Pezzali, quello degli 883 che «hanno ucciso l’uomo ragno e non si sa neanche perché», quello delle canzoncine che sono come la Dc di una volta, nessuno ammetteva di votarla eppure alla fine prendeva il quaranta per cento. Da cinque settimane, e questa è la notizia, Pezzali, il dc del pop, è in testa alla classifica e il cd Tuttomax non si schioda da lì, una settimana dietro l’altra, anche se tutto sommato è solo una greatest hits per di più déjà (stra)ecouté perché ci sono brani come La regola dell’amico o Sei un mito o La dura legge del gol che da dieci anni te li servono a bruciapelo anche nei servizi tv all’ora di cena. Per dare un senso (commerciale) a questa compilation ha registrato un brano nuovo, che si intitola Eccoti, che ha una metrica traballante, un testo che oddio, e che le radio chic non trasmettono (bassissimo al Music control) ma che è l’abbecedario di Max Pezzali, così azzeccato da trovarsi nella strana situazione che tutti lo condividono, magari pure lo sognano, eppure non si può dire, non è mainstream, non fa polemiche o copertine.
Eccoti è dedicato a Martina, che Pezzali ha sposato ad aprile e che è «il primo pensiero che al mattino mi sveglia / l’ultimo desiderio che la notte mi culla». E il videoclip in circolazione esibisce anche le immagini del matrimonio, l’uscita sotto i chicchi di riso e l’improbabile fuga in moto con l’improbabile guardaroba, scene di ordinaria euforia, roba che non c’entra nulla con quello che ascoltiamo/leggiamo/guardiamo tutti i giorni in tv, alla radio o chissà dove. Eppure da dieci anni. Eppure da cinque settimane. Forse per questo si può ignorare per una volta lo snobismo della critica o dei programmatori radiofonici e seguire Pezzali e il suo successo (sei milioni di copie vendute finora) nel crepaccio sempre più largo tra moda e realtà, nel quale questo cantante pavese, «di origine campagnola» come dice lui, è la voce rassicurante, quella che canta oggi le cose di ieri e di sempre, che non fa notizia se non quando bisogna segnalarlo perché vende più di tutti gli altri e per carità che noia. Ma se dai negozi escono cinquemila copie al giorno di Tuttomax e se il suo Podmax (sul sito maxpezzali.it) è il podcast più scaricato su itunes ci sarà pure un perché.
Più junghiano che freudiano, appigliato al come stare bene piuttosto che al perché sto male, fisiologicamente transeunte dall’epica dell’amicizia goliardica a quella del matrimonio «che aspettavo da tanto tempo», Pezzali è il cantante della normalità, che non si può permettere il trionfo della poesia e magari sa pure di sagra paesana, è persino banale, però diventa un’àncora confortevole e oggi, che il confortevole è un lusso, si trasforma nel punto di riferimento «centrista».
Giocoforza, uno specchio dei tempi.
Così, se già nel 2001 l’Abacus diceva che Pezzali e gli 883 erano «i più conosciuti dai giovani tra i 14 e i 24 anni», e il cardinale Tettamanzi ha citato la sua canzone nella lettera ai cresimandi del 2003, oggi questo «Papa man», il cantore alla Catalano del «è meglio essere felici che arrabbiati» è l’immagine di quello che sta accadendo, non solo in campo musicale. Se il rap e l’hip hop incazzato sono in stato comatoso e quasi cabarettistico, se il rock vive sostenuto dai buoni sentimenti (gli U2 o i Coldplay), se il cantautorato digrignante è trapassato da un po’, se allora non c’è più quello slancio innovativo che riaccende l’arte, la normalità diventa l’appiglio consolatorio intorno al quale prendere fiato. Insomma, non ci vuole uno studio di sociologia per intendere che, sul mare di sangue e odio steso sui nostri giorni, l’innocua via di fuga è anche la canzone che racconta «la storia più incredibile che conosco» per dimenticare quelle incredibili che viviamo, direttamente o no, e che accompagnano tutto il resto (le faide dei rapper, lo scintillio inutile del r&b, la disquisizione politica degli storyteller) a scivolare lentamente fuori dalla quotidianità. Quando si tira la cinghia - dicevano i vecchi contadini - nel granaio rimane solo l’indispensabile.


Perciò, se ci fate caso, alla fine i conti tornano e l’estate, luogo abituale dei tormentoni pop, è dominata dalla cantilena psicanalitica di Jovanotti (Tanto 3), dal canto pessimista e dolce di Cesare Cremonini e anche dalla ballata semplice del Pezzali di cui nessuno parla, ma che da un mese e mezzo tutti votano, pardon, comprano facendo finta che non ci sia un perché.

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