Sul libro di Giampaolo Pansa La grande bugia non sè acceso un dibattito, che come tale è sempre benvenuto e spesso utile: sè scatenata una rissa, e non mi riferisco allaggressione squadristica di Reggio Emilia. Gli argomenti e i toni di chi a Pansa è ostile non illustrano un dissenso, dimostrano invece unintolleranza profonda e fanatica. Costoro considerano La grande bugia una grande e inammissibile bestemmia, una profanazione, un sacrilegio. Esemplare, al riguardo, è un articolo di Sergio Luzzatto che, sul Corriere della Sera di ieri, colloca i lettori di volumi come La grande bugia o Il sangue dei vinti in una subumanità torpida, incolta, viscida. Roba di quel genere «piace al ventre molle dellItalia ignava». Gli sciagurati acquirenti del saggio di Pansa credevano forse, nella loro ingenuità, daver fatto una scelta personale consapevole in un Paese libero e pluralista: e invece si sono intruppati nella palude delloscurantismo.
Luzzatto traccia, con lombrosiana spietatezza, il profilo di questa vil razza dannata. Gente «felice di vedere i resistenti messi alla berlina della storia o peggio»; gente «felice di assistere alla gogna collettiva dei comunisti di allora e degli antifascisti autoritari di oggi»; infine gente «felice di sentirsi ignorante». Sembra di vederli questi lettori di Pansa, col gozzo, gli occhi stralunati, e le pieghe di grasso sul collo, come i ricconi nei disegni di Grosz. Lidea che un italiano perbene possa apprendere da Pansa qualcosa di nuovo - càpita perfino a Vittorio Foa, vecchio galantuomo - pare non sfiori nemmeno il Luzzatto, corazzato dalla sua presunzione professorale e dalle sue certezze resistenziali.
Laccademico ha in gran dispetto i divulgatori di storia e la loro clientela. Cita - con intento negativo - Bruno Vespa; cita Indro Montanelli così coinvolgendo pure chi, come me, assieme a Montanelli ha scritto gran parte della sua Storia dItalia. Tutti, ahinoi!, dilettanti allo sbaraglio, le cui pagine storiche sono fuffa per analfabeti di ritorno. I quali però costituiscono «il grande pubblico» raggiunto da Pansa. Gli storici di mestiere, Luzzatto lo riconosce, non ci riescono. Una ragione ci sarà.
Nei libri revisionisti (o rovescisti) di Pansa non cè, sostiene Luzzatto, nulla di nuovo. A conferma di questo assunto elenca i nomi di alcuni storici di sinistra che già avrebbero esaurientemente detto e ridetto - «con ben maggiore sottigliezza» - ciò che Pansa è andato raccontando. Si badi bene che, con questo ragionamento, limplacabile Luzzatto non smentisce per niente i fatti narrati. Anzi li dà per arcinoti. Ma allora perché tanto scandalo? Nulla vieta di riraccontare cose già raccontate. Escono ancora biografie di Napoleone, e Dio solo sa quante già ne esistano. A Pansa non viene dunque rinfacciato daver scritto il falso. Viene rinfacciato daver toccato temi - come le stragi post 25 aprile o come gli orpelli corredanti il mito della Resistenza - senza appartenere a nessuna delle due categorie abilitate alla bisogna. Quella dei nostalgici di Salò, come Giorgio Pisanò che alle mattanze di fascisti dedicò migliaia di pagine, ma che poteva essere snobbato e nemmeno preso in considerazione per la sua affiliazione politica; e quella degli storici di sinistra politicamente corretti - e poco letti - che a volte inseriscono nei loro saggi anche le notizie scomode da Pansa raccolte, ma le annacquano con opportuni e ben più ampi riferimenti alle efferatezze nazifasciste.
Limperdonabile colpa di Pansa sta nellavere messo questa merce storiografica a disposizione dun pubblico molto vasto che, indottrinato da innumerevoli articoli e da innumerevoli trasmissioni televisive sugli orrori - autentici, sia chiaro - di Marzabotto o delle Fosse Ardeatine, non aveva mai avuto idea di altri terribili e politicamente scorretti risvolti della guerra civile e della Resistenza. Nella sua requisitoria Luzzatto se la prende anche con la formula espositiva scelta da Pansa (una certa Emma pone domande, Pansa risponde). «È lo stile del catechismo» infierisce Luzzatto, e poi perfidamente aggiunge trattarsi di uno stile che «il laico Pansa ha ereditato da una tradizione cattolica che i suoi lettori mostrano di apprezzare senza provare fastidio nellessere trattati come bambini». Insommma quanto ad intelligenza, feccia «che non sa distinguere fra chi ha credito scientifico e chi non ce lha». Luzzatto ritiene evidentemente di averlo.
Ecco perché - Luca Ricolfi scripsit - gli intellettuali di sinistra sono antipatici. Perché hanno la puzzetta sotto il naso, e anche di fronte a un giornalista e scrittore dalto livello come Pansa assumono - se vìola certi tabù - unaria saccentina, sprezzante, e sotto sotto intimidatoria. Non esitano a squalificare come figli dun Dio minore, o di nessun Dio, i tanti che hanno interesse per i libri di Pansa. Solo loro, gli intellettuali di sinistra, hanno il brevetto dellintelligenza e dellonestà storica, e ne elargiscono i benefici ai seguaci.
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