Cultura e Spettacoli

Castellitto: «Ecco la mia Cina un salto in un altro pianeta»

Il protagonista di «La stella che non c’è» parla con trasporto del film di Amelio: «Anch’io nella vita parto duro per arrivare morbido». E confida: «Il rapporto con Gianni? Ottimo, sul set io sono un soldatino»

Pedro Armocida

da Venezia

Nomen omen: Vincenzo Buonavolontà, il protagonista di La stella che non c’è rappresenta proprio, secondo l’interprete Sergio Castellitto, «il nome che porta, raramente infatti mi è capitato di percepire un personaggio inventato come davvero esistito, direi esistente. Vincenzo incarna una natura umana costruita sulla risolutezza, l’intelligenza e una certa affascinante ingenuità che sempre mi seduce nelle persone. Perciò la buonavolontà del suo nome è una natura, un destino e una dannazione». Così, nello strampalato viaggio Genova-Cina del manutentore di un’acciaieria, convinto che l’altoforno venduto a quel Paese abbia «un punto fragile», quasi fosse una persona, Castellitto riconosce anche molto di se stesso: «Non credo nel mito dell’immedesimazione dell’attore, ma nella sua identificazione. Ho cercato di trasportare nella recitazione il disagio che provavo a stare in un luogo che non è un altro Paese ma proprio un altro pianeta. Ed esattamente come succede a Vincenzo, anch’io nella vita parto duro per giungere morbido. La scena verso la fine in cui piange, e che Amelio ha deciso all’ultimo istante, è stata veramente liberatoria da quella rigidità».
Sergio Castellitto parla con trasporto di questo film che ha segnato una tappa importante nella sua carriera e anche nella sua vita. Certe immagini della Cina lo accompagneranno per sempre perché, dice, «è un Paese diverso da come te lo aspetti. Loro hanno deciso di conquistare il mondo non con le armi ma con l’economia. Ho visto però anche una povertà devastante, soprattutto nelle campagne, cui fa da contrappunto ad esempio lo scintillio di Shanghai». Accompagnato sul set l’estate dello scorso anno dalla moglie, la scrittrice Margaret Mazzantini, e da Pietro, il primo dei loro quattro figli, l’attore racconta di essere rimasto colpito da molte contraddizioni come quando si è fatto tradurre un grande cartello con una pubblicità progresso che recitava: «Accettate la sfida del futuro. Anche una figlia femmina può essere un investimento». Con Gianni Amelio il rapporto è stato ottimo anche perché, assicura, «sul set sono come un soldatino, eseguo tutto ciò che mi viene richiesto».
Amelio, reduce da quasi quarantacinque minuti di colloquio privato in una stanza dell’Excelsior con il ministro Rutelli che un po’ a sorpresa alle 8 e 30 del mattino era in prima fila alla proiezione stampa, annuisce e rilancia: «Castellitto è anche un regista e quindi sa che ci deve essere solo una persona a dire l’ultima parola». Dell’incontro con Rutelli rivela un po’ a tradimento: «Mi ha detto che non si deve sapere che a lui il film è sembrato stupendo ed è rimasto colpito dalla nostra esplorazione della Cina, inedita e lontana da quella che vediamo in tv come quel grattacielo abitato da dodicimila persone con un ascensore a pagamento che parte solo dal decimo piano e dove in ogni abitazione c’è qualcuno che lavora e produce qualcosa». Una sequenza che ancora oggi i funzionari delle commissioni di controllo cinesi gli chiedono di togliere. «Ma non l’ho fatto - spiega il regista che oggi presenta la monografia del Castoro a lui dedicata da Emanuela Martini - perché avevo già superato tutte le fasi di verifica della sceneggiatura e delle riprese. In precedenza ci avevano impedito di riprendere le comparse che vanno in bicicletta con la mascherina sulla bocca e una sparuta manifestazione di studenti contro l’inquinamento provocato dalle acciaierie». E sulla questione delle censure Castellitto sembra avere le idee ben chiare: «Per me la stella che non c’è è la libertà.

Il pane è importante, ma spesso nella storia alla necessità del pane si è sacrificata l’individualità degli esseri umani».

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