Roma - «Napoli. Due ore da Roma. Tre ore e mezza da Milano. Quattro dall'Europa. Eppure, incredibilmente, una città a continuo rischio d'essere inghiottita dal terzo mondo». Senza giri di parole, con l'asciuttezza (e l'amarezza) di chi parla per affetto, Sergio Castellitto ricorda: «Un giorno abbiamo dovuto sospendere le riprese, perché a centocinquanta metri dal nostro set avevano ucciso un uomo. Non m'era mai accaduto nulla di simile in nessun'altra città». E non c'è dubbio che, oltre ad un appassionato, bravissimo Castellitto, la vera protagonista di ’O professore - miniserie targata Mediaset che, prima della messa in onda nel prossimo autunno, è stata presentata ieri con successo al RomaFictionFest - sia proprio Napoli. «Una città che da centinaia d'anni è allo stesso punto di non ritorno - sintetizza, disarmato, l'attore -. Perché i suoi problemi sono assai più complessi di quanto appaia. Dietro i mucchi d'immondizia che si accumulano, ad esempio, ci sono reti finanziarie assai lontane dal rione Sanità, forse addirittura al Nord. Ma se vogliamo che l'Italia funzioni, bisogna che Napoli funzioni. Perché è Napoli, il vero laboratorio di questo Paese». Sceneggiato sulla base di un romanzo di Paola Talella da due specialisti in soggetti civili, Sandro Petraglia e Stefano Rulli (ricordate Mery per sempre?), ’O professore è l'appassionato ritratto di un insegnante che si occupa di ragazzi difficili, in un degradato quartiere partenopeo. «Ma attenzione: non un eroe, e neppure un santo - avverte Castellitto -. Di queste figure di maestri votati alla propria missione ho esperienza, avendone già interpretati in Il grande cocomero e Don Milani. E so che sono personaggi a rischio-retorica. Ma ’O professore ha due cose, che allontanano il rischio. Una macchia nel suo passato, che lo fa esitare nel dedicarsi ai suoi ragazzi, e prima di riuscire a coinvolgerli con affetto, lusinghe e perfino minacce. E poi Napoli. È la città stessa (che pure è spesso un serbatoio di retorica), con la sua umanità e la sua verità, ad imporre un controcampo di essenzialità».
Importantissimi, in questa manovra anti-retorica, sono stati i giovani allievi che circondano ’O professore: «Tutti scelti dal regista Maurizio Zaccaro non attraverso le agenzie, ma per le strade della città. E difatti hanno tutti una faccia assai poco televisiva ma sono lo stesso bellissimi, perché veri». I ragazzi di Napoli, riflette l'attore, «hanno più abitudine alla sofferenza. Glielo leggi negli occhi. Sono come gli orfani, che non piangono mai perché nessuno li prende in braccio per questo». La soddisfazione per l'alto livello qualitativo raggiunto dalla fiction (del quale Castellitto sogna di poter interpretare in futuro altre due puntate, e che è prodotto dalla Grundy Italia) è per il suo interprete raddoppiata dal «coraggio» (parole sue) «mostrato da Mediaset nel coinvolgermi in un'altra fiction, dopo l'insuccesso del Maigret di due anni fa». Non resta che un neo: l'incognita della messa in onda. «Mi aspetto che alla fatica degli artisti corrisponda quella del palinsesto - sospira lui -. Se si produce una cosa bisogna crederci fino alla fine.
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