"Per il Cavaliere sono monsignor Bondi"

"Per il Cavaliere sono monsignor Bondi"

Onorevole Bondi, quando lei va in televisione è cattivo, violento, arrogante, crudele. Il Bondi che conosco io è gentile, simpatico, cortese... Com’è questa storia?
«Ci sono due Bondi. Il primo è quello che sono, quello che credo di essere, che sento di essere. Il secondo è un altro Bondi. Quando mi rivedo in televisione mi meraviglio di me stesso. Molta gente me lo dice».
Che cosa dice la gente?
«Dice: “Ma lei è molto diverso da come appare in televisione. È meglio”.
Le televisione non le dona.
«Mi sono fatto triturare dalla tv, dalle innumerevoli piccole dichiarazioni polemiche quotidiane. Troppo spesso sono comparso per pochi attimi, giusto il tempo di dire qualche battuta violenta contro la sinistra, in difesa di Forza Italia e di Berlusconi».
Il suo problema è che lei non fa altro che prendere le difese di Berlusconi, che parlare bene di lui...
«Ho una mia autonomia politica e intellettuale. Fra i collaboratori di Berlusconi sono forse il più libero, il più indipendente. Mi fa male che la gente pensi diversamente».
Qualcuno ha scritto: «Bondi sussurra qualche no al Cavaliere». Dei no sussurrati...
«Io non dico mai no a Berlusconi. Ma c’è sempre un confronto vero fra noi. Non è facile la mia posizione. Io sono il coordinatore politico di un partito che si fonda sulla leadership carismatica di Berlusconi, ma al tempo stesso sono anche il suo consigliere. Due cose che non stanno insieme con difficoltà. In questi tredici anni il meglio di me dal punto di vista dell’elaborazione politica e, dell’elaborazione intellettuale, della scrittura, io l’ho trasfuso a Berlusconi...»
Berlusconi ha cambiato la sua vita. Ricorda quando lo incontrò la prima volta?
«Lo scultore Cascella (...) mi disse un giorno: “Vieni con me che ti faccio conoscere Berlusconi”. Allora Berlusconi non era il Berlusconi di oggi. Era certo un imprenditore importante, era il presidente del Milan, era a capo della Standa, della Fininvest. Ma non era ancora il grande leader politico che oggi conosciamo. Ricordo perfettamente quel giorno (...) mi disse a bruciapelo: “Lei di che partito è?”»
E lei che cosa disse?
«Ero imbarazzato. Ma glielo confessai: “Sono del Partito comunista italiano”. Vidi che lui... che la sua reazione... non era...».
Non era contento...
«No, non era contento per niente...».
Che faccia fece?
«Non mi ricordo la faccia, ma il Pci non era certamente il partito in cui lui riponeva le sue simpatie (...) Mi disse: “Lei sembra una persona perbene. Come mai è comunista?”»
E lei?
«Rimasi sconcertato».
Altri incontri con Berlusconi?
«Sono tornato altre volte ad Arcore, sempre con Cascella. Nel frattempo avevo lasciato il Pci. Quando Berlusconi decise di fondare Forza Italia offrì anche a me una candidatura. Ma io dissi che non potevo passare da un campo all’altro, era troppo fresco l’abbandono del Pci. Ma mi resi disponibile per dare una mano nel partito».
Si sente ancora un po’ da quella parte...
«Se in Italia fosse nato un partito social-democratico, un partito riformista, un partito laburista, io sarei stato un laburista».
Avete risolto il problema del tu e del lei?
«Lui mi dà del tu, io gli do del lei. Non riesco a dargli del tu. Però dentro il mio cuore il lei si trasforma in tu, in un sentimento che oltrepassa questa vita. Mi dà fastidio quando ci sono persone che lo conoscono appena e subito gli danno del tu e lo chiamano Silvio. Mi dà molto fastidio».
Lei come lo chiama? Cavaliere?
«No. Dottore. Ora molto più spesso Presidente».
Lei era convinto che facesse bene a scendere in campo? O aveva dei dubbi?
«Non avevo dubbi. Ma chi poteva immaginare che potesse avere un successo del genere? Berlusconi ha fatto una cosa miracolosa, prodigiosa. In pochi mesi ha fondato un partito, ha sbaragliato la gioiosa macchina da guerra di Occhetto, ha vinto le elezioni ed è diventato premier. Una cosa che nessuno poteva immaginare. Aveva intuito che c’era un vuoto che si era determinato nella vita politica italiana dopo il crollo del muro di Berlino e soprattutto dopo Tangentopoli. Un vuoto che lui poteva colmare».
Quando ho intervistato Carlo Caracciolo, l’editore dell’Espresso mi ha detto che a Berlusconi manca il coraggio.
«Caracciolo sbaglia. In Berlusconi in quegli anni il coraggio è stato importante tanto quanto l’intuizione politica. Decidere di mettersi di traverso rispetto al potere della sinistra, al fatto che ormai la sinistra era convinta di poter stravincere, è stato un atto soprattutto coraggioso. E poi il vero coraggio lo ha dimostrato in seguito, quando fu sconfitto, nel 1996. Come posso scordare un articolo di Francesco Merlo sul Corriere della Sera, intitolato “De profundis?”»
Lo ricordi anche a noi.
«Era la dichiarazione di morte politica, e non soltanto politica, di Berlusconi. Berlusconi dopo le elezioni del 1996 era considerato un uomo politico finito. E con lui finita Forza Italia naturalmente, e la Casa delle Libertà. E poi non c’è stato soltanto quello: in quegli anni Berlusconi si era gravemente ammalato di un tumore. E, non bastasse, ci furono anche i momenti drammatici in cui la persecuzione giudiziaria raggiunse il punto più alto e giunsero a minacciare di commissariare tutto il suo gruppo economico».
Persecuzione giudiziaria...
«Giorni drammatici, anche per la mia vita personale. Ero convinto che fosse tutto finito, in quel momento».
Lei pensava proprio che Berlusconi morisse?
«No, che morisse no, perché c’era la ragionevole possibilità di guarigione totale come poi è avvenuto, però la situazione era drammatica».
Anche Berlusconi pensava che fosse finito tutto?
«Non ne ho mai parlato con lui. Ma non credo. Lui aveva dentro una forza smisurata. Nessun’altra persona al posto suo ce l’avrebbe fatta ad andare avanti. Invece, mattone su mattone, riuscì a riprendersi e operò il suo miracolo più grande, proprio perché trovò dentro di sé la forza morale per resistere. Ancora più grande della vittoria».
E alle elezioni successive vinceste di nuovo...
«Fu uno dei momenti più belli della mia vita. Era il 13 maggio del 2001. Lui era a Macherio, io ad Arcore. Mi chiamò e mi disse: “Dobbiamo preparare una conferenza stampa ad Arcore per illustrare i risultati del successo elettorale. Vieni a colazione da me. Ci sarà tutta la mia famiglia”. Io andai a Macherio e, alla fine del pranzo, trovai la torta. Era per me. Era il mio compleanno. Festeggiai la vittoria di Berlusconi, la mia elezione a deputato e i miei quarantadue anni. Fu una giornata radiosa».
Antonello Caporale sulla Repubblica l’ha chiamata Frate Bondi. Molti la prendono in giro perché sembra un prete.
«Effettivamente ho un’immagine un po’ curiale. Anche Berlusconi a volte mi chiama monsignor Bondi».
Solo?
«Pian piano salgo nella sua considerazione. Recentemente mi chiama cardinale Bondi».
Lei è innamorato di Berlusconi...
«Ma no! I miei sentimenti sono autentici e non sono macchiati né dall’ipocrisia né dalla piaggeria. Il fatto di voler bene a Berlusconi non significa non avere una propria autonomia politica».
Allora dimostriamo questa autonomia politica. Mi dica in che cosa avete pensieri diversi. Mica penserà sempre le stesse cose di Berlusconi vero?
«Ma non lo posso dire adesso. Io lavoro per il leader. Si saprà quando mio figlio pubblicherà i miei appunti... si vedrà che Sandro Bondi non è stato poi tanto male».
Ma non possiamo aspettare. L’Italia deve sapere. Mi dica. Dove diverge?
«In questi anni con lui c’è stato sempre un colloquio. Un confronto molto proficuo.

È stato come un corpo a corpo politico-intellettuale. Io ho imparato tantissimo ma penso che anche lui abbia assunto molto da me. È difficile distinguere».
Che cosa dice Berlusconi delle sue poesie?
«Dice che non si capiscono».

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