Cittadella (Pd) - Si prenda una piazza del Veneto. La si riempia fino all'orlo di tanta gente con i calli alle mani, rispettosa dei santi, ma che ha i santissimi che ormai gli fumano. La si faccia arroventare ben bene da un Mario Borghezio o da un Roberto Calderoli, tanto per ribadire la diffusa e ben poco edificante opinione che qui circola su Roma. Si mescoli bene il tutto e il risultato sarà quello servito ieri a Cittadella. Una delizia tutta da gustare per i presenti. Un boccone amaro per altri, ben più lontani, quelli che dal Palazzo guardano ogni tanto verso su, verso la Laguna e dintorni. Ma che difficilmente capiscono.
È una ricetta a due soli componenti, come ce ne sono molte nella tradizione di un Veneto ex povero, ma che solo grazie a se stesso ha scordato la miseria e ora la fa dimenticare a tanti altri. Così, anzichè risi e bisi o pasta e fasoi, dal fumante pentolone della piazza sono emersi un giovane amministratore come Massimo Bitonci - faccia, ciuffo e cappottino perbene - proposto a furor di popolo da Calderoli per un'immediata beatificazione. Idea accolta al grido - forse un po' sopra le righe - di «Santo subito». E accanto a lui, buon secondo nell'hit parade degli applausi, Najib Zaccaria, marocchino residente da trent'anni a Cadoneghe.
Due storie. Due volti di questa terra. Lo yin e lo yang di uno zen tutto particolare, che però può aiutare a comprendere il Veneto odierno. Bitonci è il sindaco leghista destinatario dell'avviso di garanzia per aver emesso un'ordinanza in materia di sicurezza - peraltro in base a un decreto legislativo che riprende norme europee - volto a porre paletti alla circolazione di immigrati senza controllo, né casa, né reddito minimo e quindi ad alto rischio di delinquenza. Najib è invece l'immigrato che qui si è realizzato, che qui ha costruito una famiglia e che qui è stato eletto assessore - per la Lega - da quella stessa gente che troppi media definiscono sbrigativamente xenofoba. Uno che ieri, dal palco, emozionato, ha letto una lettera aperta al presidente Napolitano per annunciargli l'intenzione di restituire uno dei suoi due passaporti: quello italiano, ha spiegato, «perché come tale sono discriminato e mi conviene tornare allo status di marocchino per godere ciò di cui godono i miei connazionali».
Oltre a loro, ai parlamentari nazionali ed europei, nonché allo spirito sempre aleggiante del senatur Umberto Bossi, sul palco si sono alternati soprattutto i sindaci, perlopiù leghisti, ovvero quelli che in questa inedita condizione di criminalità diffusa, e di conseguente paura, si trovano per forza di cose in prima fila. Un centinaio di primi cittadini con le coccarde nere a lutto (distribuite dal massiccio collega Giancarlo Gobbo di Treviso) appuntate polemicamente sulle fasce tricolori. Cento sindaci e cento firme apposte sfilando uno a uno, davanti alla gente, per sottoscrivere la stessa ordinanza valsa a Bitonci l'avviso di garanzia. Ora ne arriveranno altri cento?
Parole, quelle dei sindaci, ma soprattutto sfoghi. Di rabbia, come quella di Franco Zorzo, sindaco di Tombolo, «un paese che versa allo Stato 22 milioni di Irpef ogni anno, ma che dallo stesso Stato, dopo che il municipio ha subito un attentato incendiario, si sente rispondere che non c'è un centesimo per rifonderci almeno in parte dei danni». Oppure di nostalgia, come quella di Luca Claudio, di Montegrotto Terme, look da discoteca ma grinta bastante per gridare come i suoi amministrati chiedano di «tornare a lasciare la chiave appesa fuori, sulla porta, come succedeva una volta, perché gli amici potessero sempre entrare». Ed è giovane anche un altro «campione» di queste parti, Flavio Tosi di Verona, che ha rimandato a Giuliano Amato l'accusa di voler creare repubbliche indipendenti: «Amato, sei tu che vivi sulla luna, vieni a far un giro per le nostre strade di sera», si è sgolato. Riservando poi una tirata anche a un altro ministro «quel che se ciama come la Nutella, sì Ferrero.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.