«Certi Pm sono talebani, riformerò la giustizia»

REGIONALI «Alle elezioni conteranno i voti totali, Roberto presidente ideale, ha l’età giusta»

nostro inviato a Torino

«Roberto ha un solo difetto, ha una moglie magistrato...». Dove volesse andare a parare Silvio Berlusconi lo si era capito fin dalle prime battute, quando dopo una lunga sequela di elogi a Cota («è il presidente ideale, è giovane») arriva finalmente ad individuare l’unico neo del candidato alla presidenza del Piemonte. Solo una battuta, certo, perché si tratta di «uno di quei magistrati perbene» che «spero aumentino sempre più». Ma un segnale chiaro che l’argomento giustizia non sarebbe stato affatto trascurato.
Il Cavaliere, d’altra parte, ha fatto una scelta decisa, quella di affrontare la campagna elettorale delle regionali in chiave nazionale. Una «scelta di campo», un giudizio sull’azione del governo («conteranno i voti, non le Regioni conquistate») e dunque, in sintesi, un referendum pro o contro Berlusconi. Una decisione imposta dalle vicende delle ultime settimane, è stato il ragionamento fatto a Palazzo Grazioli. Con la bufera giudiziaria che se per una volta non ha coinvolto il premier si è comunque abbattuta su Palazzo Chigi, sugli uomini a lui più vicini e sui simboli di quel governo del fare che ha contribuito in questi quasi due anni a tenere sempre alto il gradimento dell’esecutivo.
Per questo il premier decide di giocare la partita in prima persona e sempre per questo, pure all’indomani dello schiaffo della Cassazione alla Procura di Milano, non risparmia colpi. A partire dal caso Mills, sul quale non ostenta alcuna soddisfazione. La decisione della Suprema Corte non cambia infatti il suo giudizio su certi «Pm talebani» che «intervengono con propositi eversivi nella vita democratica» e - aggiungerà a cena - sono peggio delle organizzazioni criminali. Parole che provocano l’immancabile e stizzita reazione di Anm e Csm che di questo passo inizieranno ad avere problemi di spazio per archiviare tutti i fascicoli a carico del premier. Sul processo Mills, il Cavaliere respinge poi ogni accusa: «È un’invenzione pura, un assurdo, non c’è stata nessuna dazione da parte di un manager di Fininvest che tra l’altro è morto». Per questo «voglio venirne fuori con un’assoluzione piena». Oggi, insomma, il Cavaliere non sarà in aula solo perché «i miei avvocati mi hanno detto che la mia presenza non è necessaria e che si tratta solo di questioni logistiche».
Si parla anche di riforma della giustizia che, assicura Berlusconi, «si farà» anche se «non credo piacerà molto ai talebani che sono all’interno della magistratura». D’altra parte, quando il Parlamento ha approvato una legge sull’inappellabilità delle sentenze di assoluzione in primo grado «i giudici di sinistra hanno protestato violentemente» e la Corte Costituzionale «gli ha dato ascolto» abrogandola. Una Consulta, ripete il premier, dove «le parti in causa non sono alla pari» visto che «undici giudici appartengono all’area della sinistra e quattro al centrodestra». Per questo, insomma, «ha dato ascolto ai Pm che chiedevano l’abrogazione». Un ragionamento su cui torna più tardi: «Oggi la nostra democrazia è questa: il popolo elegge il Parlamento che ha la sovranità attraverso i voti, ma se una legge approvata dal Parlamento non piace ai Pm si va alla Corte che poi la abroga. Oggi, dunque, la sovranità non è più nel popolo, ma è nei Pm». E la «politicizzazione della magistratura» è «la patologia prima dell’Italia, il primo vero male della nostra democrazia».
Nel sostenere la candidatura di Cota («È il presidente ideale, ha l’età giusta») a Governatore del Piemonte (appoggiata anche da Enzo Ghigo) Berlusconi affonda poi sulla sinistra che vuole «reintrodurre l’Ici», «raddoppiare le tasse sulle rendite finanziarie», aumentare la «tassa sul patrimonio» e introdurre uno «Stato di polizia tributaria» attraverso il controllo dei pagamenti. Altro capitolo l’immigrazione, tema caro alla Lega e sul quale evidentemente il premier cerca di non lasciare «scoperto» il Pdl.

La sinistra, dice il Cavaliere, vuole «spalancare le porte agli immigrati» perché «solo con un massiccio ingresso di stranieri può ribaltare il piatto della bilancia in un Paese di moderati». Insomma, «prima li fanno entrare e poi, con il tempo, gli concedono il diritto di voto». Un affondo alla sinistra che di carambola va a colpire dritto Gianfranco Fini.

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