Che bello quando la tv era di plastica

Non è la Rai, ma era una grandissima televisione. Il Cruciverbone e gli abitini-ini-ini, le More contro Bionde, le palme finte, il quiz con le letterine viventi - archetipo paleovisivo di tutte le veline a seguire - le docce gelate e i bikini intirizziti, i balletti loliteschi e Pamela “The Voice”, le scritte dei fan sui muri degli studi del Centro Palatino: «Ilaria ti amo», «Emanuela I love you». Ambra, l’auricolare, T’appartengo e Gianni Boncompagni. Please Don’t Go.
Insieme simbolo televisivo del disimpegno socio-politico e figura del programma usa-e-getta, rappresentazione mediatica della deriva consumista del corpo femminile ed emblema della mancanza di talento elevata a successo nazional-popolare, la trasmissione Non è la Rai, che ballò dal 1991 al 1995, fu il trionfo video-filosofico della de-ideologizzazione del mondo, del riflusso, della leggerezza, dei sentimenti effimeri e dei desideri di plastica. La rappresentazione analogica di un decennio, a cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta e canale di congiunzione fra il Drive In e i reality show, nel quale per l’ultima volta ci si è illusi che andando avanti il mondo sarebbe sempre migliorato, dove si è capito che le rivoluzioni cambiano le società solo in peggio e ci si è accorti - a posteriori - che quella sarebbe stata l’ultima generazione a essere più ricca della precedente. Anni, quelli sì, formidabili. Programma di culto di un decennio indimenticato, Non è la Rai sintetizzò con un senso estetico impeccabile quell’«ho tantissimo bisogno di sognare» che chiedevano i telespettatori. E l’Italia sognò.
Sognò con Alessia, Nicole, Miriana. E Ambra. Un delirio televisivo in cui le ragazze al di là dello schermo, assieme a tutti i ragazzi da Milano a Palermo, vivevano la medesima storia, in superficie, le une vittime e gli altri schiavi del telecomando, parlando e pensando proprio come si parla e si pensa in tv. Confondendo - scrisse qualcuno già allora - la propria esistenza con quella che scorre dentro il video. Solo ciò che passa in televisione è reale e solo la realtà trova spazio in televisione.
«Faccio un programma privo di contenuti, non voglio lanciare nessun messaggio - rispose un giorno Gianni Boncompagni alle critiche rivolte alla sua creatura -. Dicono che propongo “un insopportabile clima da gita scolastica in torpedone”. E allora? Cosa c’è di male?».
Probabilmente, a rivederlo con gli occhi televisivi di oggi e a ripensarlo anche con i parametri morali di ieri, non c’era nulla di male in quel programma. Inconsistente ma incolpevole. Di plastica ma non finto. Infantile ma non pedofilo.
Davvero si può credere che Drive In ha reso berlusconiani gli italiani, Non è la Rai li ha imputtaniti e il Grande Fratello analfabetizzati? La televisione è l’effetto, non la causa, della realtà. Non diventiamo ciò che vediamo, ma vediamo ciò che siamo.
E cosa vedevamo, allora? Un programma di intrattenimento, di sessanta minuti, nella fascia pomeridiana, sulle reti Mediaset. Figurazione televisiva della nostra adolescenza, il loft con piscina in cui facevano gli onori di casa Enrica Bonaccorti poi Paolo Bonolis e infine da Ambra Angiolini era la casa di tutti gli italiani: uomini voyeur, donne pettegole, ragazzine anoressiche e ragazzi afasici. Adolescenti-dive e telespettatori qualunque. Che parlavano dicendo «un attimino», «tendenzialmente», «tutto questo vorrei non accade mai più», «tu 6 il massimo!». Parole e pensieri di plastica.
La stessa lingua, costruita su un lessico e una sintassi giovanil-televisiva, sulla quale lavora - con intento malevolmente dissacrante ma con un effetto indiscutibilmente nostalgico - lo scrittore Aldo Nove in un bellissimo poema del 1994, rimasto inedito e presentato per frammenti sul nuovo numero di Satisfiction. Dedicato al «mondo osceno» di Non è la Rai e della tv general-consumista, s’intitola Ambra Angiolini Forever. Tradendo un eccesso di coinvolgimento affettivo per il proprio oggetto poetico, Aldo Nove - il narratore di Woobinda e il poeta di Maria - costruisce il poemetto in modo che ogni strofa corrisponda a un messaggio, spesso firmato con un elegante enjambement, inviato dai teen-fan alla più famosa delle tele-lolite.

Quell’Ambra all’epoca accusata dalle femministe di veicolare un messaggio vergognoso sul modello vincente di donna, e oggi accusatrice poco autorevole della famelica ricerca di tele-visibilità delle papi-girls, sue nipotine catodiche. E dalle bambine di Non è la Rai, con un veloce cambio di un canale, si passa alle ragazze di via dell’Olgettina. Ma alla spudorata voracità delle seconde, preferiremo sempre la maliziosa innocenza delle prime.

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