Se uno dicesse al professor Mario Monti: guardi che ci prenderà gusto e passerà alla politica per tutta la vita, il professore probabilmente borbotterebbe infastidito qualcosa di sbrigativo in inglese, «Sorry, I’m terribly busy» e tirerà dritto.
Ma che ci sono delle leggi umane, leggi divine e leggi politiche. L’abbiamo già visto: Lamberto Dini era un tecnico, Carlo Azeglio Ciampi era un tecnico, Romano Prodi era un tecnico, Giulio Tremonti era un tecnico e un governo tecnico fu fatto già nel 1995 dopo il ribaltone contro il primo governo Berlusconi e sappiamo come finiscono queste storie tecniche: poiché non esiste in natura, e neanche in laboratorio, il «tecnico puro» sottovuoto nel Musée de Poids et Mésures di Sèvres dove si conservano il litro e il chilo perfetto accade che la natura «pura» del tecnico perde la lucentezza accademica e si opacizza a contatto con la sporca realtà.
Questo è particolarmente prevedibile quando il «tecnico» si accosta all’infetto mondo della politica con l’idea di ricondurlo nell’alveo della decenza e della razionalità. E infatti il professor Monti ha più volte detto di voler rendere l’alto servizio di riconciliare l’onore della politica con la disonorata percezione che ne hanno i cittadini. Buone intenzioni. Anche Cristoforo Colombo pensava di convertire i buoni selvaggi alle regole della nostra civiltà, ma finì male. L’accademico in generale pensa malissimo della politica e una volta nella «stanza dei bottoni» è invariabilmente tentato dal demonio e alla fine il demonio vince. Il professor Romano Prodi era presidente dell’Iri ma fece politica prima ancora di dedicarsi all’agricoltura dell’Ulivo cercando di svendere la gioielleria alimentare di Stato all’ingegner Carlo De Benedetti, omettendo di avvertire il capo del governo. Lamberto Dini fu nominato direttore generale della Banca d’Italia da Cossiga il quale nominò Ciampi governatore. Dini poi fu chiamato da Berlusconi a fare il ministro del Tesoro da tecnico puro, ma diventò subito il capo del governo post-ribaltone, poi ministro degli Esteri e fondò un partito.
Monti disse alla Camera che preferiva essere chiamato «professore» piuttosto che «presidente» perché i presidenti passano ma i professori restano. Ma in realtà i professori vanno in pensione, mentre i presidenti restano tali a vita, come testimonia il quasi centenario senatore a vita Oscar Luigi Scalfaro, un tecnico magistrato prestato un attimo alla politica come anche Rita Levi Montalcini, tecnica e premio Nobel precettata dalla politica.
Quando si entra in politica da tecnici non si torna più indietro. Le eccezioni sono possibili, ma improbabili. Finora non se ne sono mai viste: mai visto un banchiere, un accademico, un economista che, chiamato dal flauto magico della politica, dopo aver detto «resto soltanto cinque minuti, metto le cose a posto e torno al mio vecchio lavoro», abbia fatto il Cincinnato tornando al vecchio orto.
Vorremmo poi fare un’ulteriore osservazione: se Monti otterrà qualche risultato importante - per ora è andato tutto male, dallo spread fino ai ceffoni del rating a livelli uzbeki - la gente, già esasperata, sarà indotta a concludere che se un governo sconnesso dalla volontà popolare come quello attuale può fare meglio di un governo eletto, può concludere che la democrazia oltre che costosa è inutile, anzi dannosa e che se ne può fare a meno una volta per tutte. Basta non mettere in sella un dittatore, ma uno staff di tecnici, un elegante consiglio d’amministrazione.
Il governo dei tecnici, o i tecnici al governo, sono comunque segnali di impotenza politica. Nell’attuale legislatura il governo Berlusconi non è stato in grado di agire come avrebbe forse agito Margaret Thatcher perché la politica è fatta di veti incrociati, con la Lega che non vuole toccare le pensioni perché il suo populismo è il suo Dna. E sempre nell’attuale legislatura i partiti di sinistra non hanno avuto il fegato di dire: abbiamo la vittoria in tasca, vogliamo le elezioni, vogliamo governare. Macché: hanno accompagnato questa sciocchezza - smentita dalla Spagna che ha cambiato governo e maggioranza politica in corso di crisi economica - secondo cui le elezioni politiche sono dannosissime, per il delicato pancino nazionale, e si sono tirati indietro: meglio che lo sporco lavoro lo faccia un elegante governo di destra adorato almeno a parole dalla sinistra, che risponde con provvedimenti draconiani ai mali del Paese, sicché se prima il cavallo non beveva per la crisi, adesso potrebbe non bere più perché è morto.
Dunque, se sopra la panca il governo campa, la democrazia sotto la panca crepa. Paradossalmente, se il consiglio d’amministrazione al governo perdesse la sua verginità fittizia e si macchiasse del peccato originale della politica, la democrazia riprenderebbe vita. Ma dovrebbero verificarsi dei fatti politici dentro e fuori il governo tecnico e il professor Monti lo sa, e lo sa anche il politico presidente Monti, suo clone.
Dunque, se non ci sbagliamo, sta arrivando l’ora delle scelte identitarie: o professori estranei alla democrazia trattata come una cara zia malata che forse si sveglierà dal coma e forse no; oppure politici che praticano scelte politiche e che si assumono la responsabilità di incarnare la democrazia politica decidendo di dire da che parte stare.
E poiché le cose sul piano strutturale (e non per colpa del governo) vanno peggio e non meglio, lo scioglimento di questo nodo si fa urgente. Non esiste una ricetta, una risposta, una formula che prescriva che fare, esattamente.
E questo è appunto il ritorno alla politica: costruire risposte, alleanze, ricette, formule, ipotesi. E non è un lavoro tecnico. È un lavoro politico, sperando che riparta presto perché in modo soave e sobrio, la democrazia rischia davvero di tirare le cuoia.