Che brutta regia: ma l’eroe Dapporto salva Goldoni

L’attore tiene in piedi da solo «I due gemelli veneziani» al Manzoni di Milano. Nonostante lo scialbo allestimento la sua verve merita una visita al teatro

Non è un mistero che I due gemelli veneziani, opera d'incantevole languore e spietata crudeltà del cogidor Carlo Goldoni, riprende il tema del doppio, dell'altro da sé, del diverso che da uno specchio capovolto contempla l'uguale che sta alle origini del teatro moderno. Dai Menecmi di Aristofane, per non parlare di tutti gli Anfitrioni possibili e immaginabili fino alla perversa intuizione del Dottor Jekyll di Stevenson, l'uomo in bilico tra essere e apparire è divenuto una costante inderogabile della nostra vita. Sospesa tra paradiso e inferno in mancanza di quella risposta risolutiva che invano attendiamo dall'alto dei cieli.
E che Goldoni si limita con tagliente eleganza a far trasparire da questo capolavoro mai abbastanza lodato che fornì prima a Lionello nella regia di Squarzina e, in tempi più recenti, a Popolizio nel bellissimo allestimento di Ronconi l'occasione di mostrare per esteso il vocabolario del grande attore. Diciamo questo per ribadire la verità di Lapalisse: ci son testi fatti apposta per il virtuosismo dell'interprete che, in questo caso, fa storia a sé anche quando manca clamorosamente, come avviene nei Due gemelli veneziani firmati da Calenda, qualsiasi indicazione di regia. Cosa accade dunque in questa edizione, che comunque si raccomanda per lo strepitoso virtuosismo di Massimo Dapporto che si prodiga da cima a fondo con risultati quasi insuperabili nel caratterizzare la naiveté assoluta di Zanetto di contro al solido pragmatismo di Tonino?
Non assistiamo - come sarebbe auspicabile - all'assedio della Serenissima da parte di un individuo scisso nelle componenti fondamentali dell'azione e del pensiero, ma al trionfo della Supermarionetta. Qui guidata da un interprete cui non difetta la rara virtù di stupire. Capita infatti a Dapporto quel che a suo tempo accadde a Totò che, al di là della mediocrità dei registi che gli toccavano in sorte, emergeva grazie al suo irresistibile istrionismo.

Guardatelo, all'inizio di questo scialbo vaudeville, come esce dalla carrozza, ammiratelo mentre distilla goccia a goccia il veleno che lo ucciderà, applauditelo quando, redivivo nelle vesti di Tonino, conclude il mercato di quel matrimonio che sembrava compromesso e avrete la misura della sua arte. Al punto di precipitarvi a teatro facendo tabula rasa di una regia che non c'è.

I DUE GEMELLI VENEZIANI - di Goldoni con Massimo Dapporto. Milano, Teatro di via Manzoni, fino al 3 febbraio.

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