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«Che orrore chiamare “signore” le quindicenni»

«Che orrore chiamare “signore” le quindicenni»

Franca Valeri sbotta: «Ma siamo matti? Il termine signorina non si tocca!», prorompe adirata, anzi adiratissima. «Dove finirebbe altrimenti la mia creatura prediletta, la scatenata signorina snob che a suo tempo fu lo spasso degli italiani?». La Franca è sul sentiero di guerra. Eppure, le dico, in Francia sembra proprio che la parola signorina presto non si troverà nemmeno sul dizionario. Tanto che io, sapendo che lei ha sempre avuto un debole per Parigi e la cultura d'oltralpe, pensavo salutasse la notizia con gioia. «Con gioia?! Ma quando mai? E con cosa la sostituirebbero, scusi?» Con un termine neutro come Madame che, secondo loro, andrà bene per tutti. «Per tutti, ma non per me. Se la immagina una signorinetta di quindici anni che dopo aver sottratto il rossetto a mammà viene apostrofata, da un giorno all'altro, come una signora regolarmente sposata con tanto di prole al seguito?». Sono dalla sua parte, ma evidentemente ai francesi fa comodo che… «Fa comodo cosa? Dov'è andata a finire l'intelligenza della Ville Lumière? Non mi dica che d'ora in avanti, anche al cinema, magari sentiremo un bellimbusto qualunque attaccar discorso con una liceale chiamandola “signora”?». Posso chiederle cosa sottintende per lei l'uso della parola in questione? «Ai miei tempi rivolgersi a una donna nubile con un termine simile poteva essere scambiato per un perfidia di pessimo gusto. Ovvero ti chiamo signorina perché sei una di quelle carampane che nessuno porterebbe mai all'altare. Ma dare della signorina alle fanciulle attempate che nessuno guardava era comunque un tratto di buona educazione». Può precisare? «Oggi l'educazione, caro mio, è una merce bandita come se tutte quante fossimo oggetti e non persone.

È questo che mi fa rabbia, perché è un sintomo di discriminazione».

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