Che un’idea buona venga stravolta ed usata strumentalmente per attaccare la maggioranza non è certo una novità, tuttavia il dibattito che si è acceso sull’emendamento di Giuliano Cazzola, relativo alla possibilità di dedicare all’apprendistato l’ultimo anno della scuola dell’obbligo, ha probabilmente passato il limite del buon gusto. Ricordiamo i fatti: l’economista bolognese ha inserito con successo nel disegno di legge sul lavoro collegato alla finanziaria la possibilità di assolvere l’ultimo anno di obbligo scolastico con un apprendistato formativo: le reazioni sono state violente, con in testa proprio quella sinistra e quel sindacato che dovrebbero più di altri avere a cuore il lavoro. Le argomentazioni usate per demonizzare l’idea sono state numerose, con in testa i soliti anatemi sullo «sfascio del sistema scolastico» e sulla «clamorosa marcia indietro rispetto alle indicazioni dell’Europa».
Niente di più falso. Cominciamo con il dire che si tratta di un’opportunità in più e non di una costrizione: è un dato di fatto che esistono decine di migliaia di giovani che, dopo i quattordici anni, si scoprono assolutamente disinteressati allo studio e per i quali la permanenza sui banchi è un’inutile sofferenza nel migliore dei casi e un problema per il resto della classe nei peggiori. Già ora è molto più facile trovare questi ragazzi in strada o a lavorare in nero piuttosto che in aula. Dare a costoro un’alternativa «regolare» che consenta anche di terminare il periodo obbligatorio di studio, per entrare nel mondo del lavoro in modo trasparente e controllabile, di certo non toglie nulla a chi invece desideri proseguire normalmente il proprio corso di studi. Il fatto che i sindacati abbiano subito alzato gli scudi, con in testa la solita Cgil, altro non è che l’ennesima caduta della maschera sulle reali intenzioni di alcune sigle, di certo molto più interessate al mantenimento e alla tutela immobile di chi un impiego ce l’ha o l’ha avuto piuttosto che ai destini dei giovani. È infatti ovvio che un giovane italiano con una buona formazione possa diventare appetibile per il mercato del lavoro dell’industria, spesso in difficoltà a reperire personale. È altresì ovvio che ciò possa dare fastidio a chi tutela i vantaggi di quelli che il lavoro già ce l’hanno e che vedono come il fumo negli occhi i giovani, per i quali la flessibilità non è certo un tabù.
Anche il consueto sventolìo secondo convenienza del feticcio europeo lascia parecchi dubbi: è infatti vero che uno degli obiettivi dell’Ue è aumentare la scolarizzazione, ma è altresì vero che in molti paesi l’apprendistato riveste un ruolo fondamentale per l’ingresso nel mercato del lavoro e le rilevazioni Eurostat sui tassi di occupazione includono la popolazione attiva a partire proprio dai quindici anni. In Svizzera ad esempio le possibilità di scelta per il tirocinio professionale a partire dai quindici anni sono assai numerose e popolari, con alcune sezioni pre-professionali che possono addirittura essere scelte in anticipo. Nella Confederazione elvetica infatti l’apprendistato è un passaggio fondamentale perché dà l’accesso al necessario certificato di abilitazione federale.
Va infine considerato un aspetto su cui prima o poi sarà necessario aprire un minimo di dibattito: vale a dire su quali potrebbero essere le esigenze future del nostro mercato del lavoro. Dato che appare evidente che la scuola dell’obbligo non ha più l’originaria funzione di alfabetizzare le masse contadine, potrebbe non essere un assurdo affidare come compito aggiuntivo all’istruzione almeno una minima parte coordinata, strategica ed introduttiva che possa incentivare i giovani ai possibili sbocchi professionali richiesti dall’economia italiana.
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