A un certo punto dellottavo capitolo dei suoi Promessi Sposi, quello dedicato alla «notte degli imbrogli» (Renzo e Lucia entrano con un sotterfugio e due testimoni in casa di don Abbondio per cercare di estorcergli un matrimonio-lampo), il Manzoni così commenta: «In mezzo a questo serra serra, non possiam lasciar di fermarci un momento a fare una riflessione. Renzo, che strepitava di notte in casa altrui, che vi sera introdotto di soppiatto, e teneva il padrone stesso assediato in una stanza, ha tutta lapparenza dun oppressore; eppure, alla fin de fatti, era loppresso. Don Abbondio, sorpreso, messo in fuga, spaventato, mentre attendeva tranquillamente a fatti suoi, parrebbe la vittima; eppure, in realtà, era lui che faceva un sopruso. Così va spesso il mondo... voglio dire, così andava nel secolo decimo settimo».
Il lettore ci perdonerà se labbiamo presa alla lontana, ma la morale manzoniana ci pare calzi a pennello con quanto abbiamo visto e sentito ieri, quando da più parti sè dato a Berlusconi dellincendiario e del fomentatore di incidenti.
Intendiamoci bene: nessuno di noi si azzarda a paragonare il premier a Renzo, e i suoi critici (politici o giornalisti che siano) a don Rodrigo: il senso del ridicolo grazie al cielo non labbiamo ancora perso. Però è vero che il mondo continua ad andare come nel secolo decimo settimo, nel senso che se si giudica un fatto analizzando solo una sua parte - soprattutto se la parte è quella finale - si rischia sempre di confondere i ruoli dei protagonisti.
Berlusconi è stato fatto passare per responsabile morale di possibili incidenti nelle scuole e nelle università per aver fatto intendere che, in certi casi, avrebbe fatto ricorso «alle forze dellordine». Noi, come abbiamo già scritto chiaramente ieri, siamo contrari allutilizzo di polizia e carabinieri: e quindi ci rallegriamo che il premier abbia poi precisato che a quellipotesi non pensa affatto. Ma non è questo il punto. Il punto è che, per quella frase, Berlusconi è passato come dicevamo per lincendiario della situazione. «Soffia sul fuoco», ha detto Veltroni. «Getta una miccia accesa sulla benzina», ha aggiunto la Finocchiaro. «Se ci fosse un calcolo, le frasi di Berlusconi sembrerebbero pensate apposta per incendiare le università», ha scritto il direttore di Repubblica Ezio Mauro.
Non crediamo occorra essere berlusconiani - o berluscones, come dicono - per rilevare un dato di fatto elementare: e cioè che non si soffia sul fuoco se qualcun altro prima non ha acceso un fuoco; e non si getta una miccia accesa sulla benzina se qualcun altro prima non ha cosparso il campo di benzina. La tensione nelle scuole cè già, e rischia di salire perché da settimane si sta facendo una campagna che non vogliamo chiamare «terroristica» come ha fatto la Gelmini, ma «allarmistica» senzaltro sì; una campagna zeppa di bufale sesquipedali, tipo labolizione del tempo pieno e dellinglese alle elementari. Sono stati altri, a far salire la temperatura: altri come lex ministro Mussi che ha parlato di «strage di ricercatori universitari»; altri come il manifesto che ha titolato sul «razzismo in cattedra»; altri come chi ha fatto credere ai bambini che la riforma faccia dei morti (che cosa significa altrimenti, per un bambino, il demenziale lutto al braccio di alcune maestre?). E come chi - peggio ancora - i bambini li ha usati nei cortei: gesto infame, perché i bambini in un corteo-contro-qualcuno non vanno portati mai, chiunque sia e qualunque cosa abbia fatto quel qualcuno.
Leditoriale su Repubblica di Ezio Mauro si intitolava «Se il dissenso è un reato». Cera scritto che «qualcuno dovrebbe spiegare al Premier che la pubblica discussione e il dissenso sono invece elementi propri di una società democratica». Mauro è un grande giornalista e un uomo intelligente: ma come fa a non capire la differenza tra «la pubblica discussione» e gli incidenti di Milano dellaltro giorno; tra «il dissenso» e limpedire fisicamente di far lezione a chi vuol far lezione. Come fa a non capire le stesse cose un Veltroni. Come fa a non capirle una Finocchiaro.
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