LA CHIMERA DELL’ESPULSIONE

Il tunisino che a Bologna è stato arrestato per lo stupro d’una ragazza quindicenne era arrivato in Italia, clandestinamente, nell’aprile dello scorso anno. In agosto era finito dentro (ma presto rimesso fuori) per violazione della legge sull’immigrazione, il 7 agosto era stato ricatturato per spaccio di droga, il 15 gennaio il Tribunale della libertà gli aveva ridato la medesima ritenendo che nel suo caso non ricorresse né l’eventualità del pericolo di fuga né quella di reiterazione del reato... A nessuna delle due scarcerazioni era seguita - come avrebbe dovuto essere, e come infinite volte è stato promesso agli italiani che sarebbe stato - l’espulsione. Ha continuato a circolare per le strade d’un Paese che - non lo ha detto Borghezio, lo ha detto un romeno residente in Italia - «è considerato all’estero un’isola felice per chiunque abbia voglia di delinquere».
Nel commentare questo episodio e la situazione che esso rivela, o piuttosto conferma, sarò forse ripetitivo. Ma voglio evitare la politica politicante. Esistono indubbiamente settori della magistratura che tengono la politica in gran conto e che, come scriveva ieri Filippo Facci, creano corsie preferenziali per le assoluzioni di Antonio Di Pietro. Senonché il maggiore scandalo non sta tanto in quella sollecitudine sospetta quanto negli innumerevoli e non intenzionali casi di lentezza e inefficienza: addebitabili sì alla giustizia, ma anche all’amministrazione italiana nel suo complesso. Ritenuta fallimentare dall’uomo della strada e ritenuta fallimentare da organismi di controllo che mi pare predichino molto e controllino poco.
Abbiamo una moltitudine di leggi senza pari nel mondo: con il vizietto d’una inutilità da fare invidia alle gride manzoniane. Abbiamo pene severe, con il vizietto della non espiazione. Abbiamo misure di rigore contro i clandestini, con il vizietto della non applicazione. Quando poi i vizietti deflagrano, arrivano spiegazioni non convincenti, e promesse che lo sono ancora meno. Posso essere franco? Le discussioni in corso su alcuni aspetti della riforma giudiziaria mi sembrano roba interessante ma non urgentissima, questioni che appassionano gli specialisti ma lasciano freddi i cittadini. Questi ultimi pongono interrogativi banali: e desidererebbero risposte magari altrettanto banali, ma davvero rassicuranti. Ecco l’interrogativo suscitato dal fattaccio di Bologna.

Come si può ottenere, hic et nunc, non in una visione futuribile dello Stato e della società italiana, che un clandestino e spacciatore come Jamel Moamid sia restituito alla Tunisia prima d’aggiungere al suo palmarés criminale anche lo stupro?

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