La chimera dell’unità dei cattolici

Savino Pezzotta è stato un protagonista del Family Day. Noi abbiamo fatto la nostra parte, con discrezione, buon senso politico e desiderio di testimonianza: siamo stati sempre al suo fianco e a quello di Eugenia Roccella. Dunque, leggendo che il protagonista del Family Day intende costruire, insieme a Tabacci, un movimento «parapolitico» con l’obiettivo di sostenere un progetto che vada «oltre l’Udc», non possiamo che provare delusione. Pezzotta sbaglia l’analisi e, con lui, Tabacci. Sono in particolare tre i punti dirimenti da sottolineare.
Primo punto. Una cosa è dire che la tradizione del cattolicesimo democratico e popolare sia una grande tradizione da valorizzare, altra cosa è ricavare, da questa premessa, la conclusione, errata, che allora sia necessario e urgente costruire l’ennesimo soggetto «parapolitico» ma, di fatto, politico. Per andare infine dove? Oltre l’Udc? E cosa vuol dire? Forse la stessa cosa che andare oltre il socialismo, cioè abbracciare il capitalismo temperato da meccanismi di equità che oggi nessuno si sogna più di mettere in discussione? Nella migliore delle ipotesi, il caso sarebbe da inserire nella lista dei film già visti e oggi replicabili ma come minestre riscaldate, prive di appeal.
Secondo punto: l’operazione di Tabacci e Pezzotta appare segnata da una sorta di pregiudiziale finanche antropologica nei confronti di Forza Italia e del centrodestra. In Tabacci questa pregiudiziale è stata così determinante da condurlo alla decisione, evidentemente non condotta alle conseguenze estreme sul piano pratico, di abbandonare la politica, «perché oggi, in Italia, ha vinto Berlusconi»; ma anche in Pezzotta l’indagine della realtà politica sembra marcata da un tentativo di ancorare una sparuta truppa di anti-berlusconiani militanti e formatisi nella cultura del cattolicesimo democratico, che, non potendo trovare spazio nel Pd colonizzato da sinistra, cerca approdi nel sociale per poi riversarsi nel mondo politico con una qualche legittimazione.
Tutto sembra porsi contro la Casa delle Libertà e non in funzione di una nuova strategia che prenda atto dei mutamenti avvenuti anche nel mondo cattolico italiano. Il manifesto di Subiaco snocciola lo stesso rosario di sempre: dalla competitività alla meritocrazia e ritorno sui temi etici e sulla centralità della persona. Esso sostiene che il moderatismo di centro, cioè l’aggregazione dei cosiddetti uomini di «buon senso», abbia come perno la «centralità della persona». Declinata, si dice, «secondo le esigenze del mondo contemporaneo: affermare la centralità della persona oggi allora significa armonizzare la sfida della competizione globale con la tutela dei più deboli». È il programma di tutti i partiti conservatori e alternativi alla sinistra post-comunista italiana e europea. Dov’è la novità?
C’è solo il tentativo, retorico, di fuoriuscire, così si legge nel manifesto, dall’anti-berlusconismo globale, impersonato dai prodiani e dalla sinistra, fingendo di non sapere che l’anti-berlusconismo, come l’essere secondo Aristotele, si dice in molti modi. Anche nel modo in cui lo dicono Pezzotta e Tabacci. Tutto qua il progetto parapolitico-politico per andare oltre l’Udc? Mentre Bertinotti riesce a comprendere che la forza politica di Berlusconi non deriva dalle televisioni, ma dalla sua capacità di incarnare un grande progetto politico, coloro che potrebbero essergli più vicini e che in qualche modo vicini gli sono stati, non riescono a cogliere questo punto che sta ancora oggi sparigliando le carte della politica italiana.
Terzo punto: il nostro sistema politico ha bisogno di compattezza e di una nuova organizzazione, sulla base della necessità di formare alleanze di governo coese, come ha ammesso anche Veltroni. Ora, com’è possibile perseguire questo obiettivo, dichiarato apertis verbis dal manifesto di Subiaco, con una dimensione politica così poco recettiva nei confronti dei mutamenti della realtà contemporanea? Non faccio qui riferimento ad una possibile riforma della legge elettorale: sto qui dicendo che non è più possibile oggi fare politica senza rendersi conto che gli steccati laici-cattolici sono stati abbattuti dall’insorgenza della biopolitica; che la globalizzazione impone delle riforme dei sistemi economici nazionali vincolanti, imprescindibili, pena il decadere di qualsiasi progetto di competitività e che queste riforme hanno bisogno di grandi partiti tanto uniti quanto complessi al loro interno, differenziati, stratificati; che il modello Bayrou è fallito in Francia e che, in Italia, un modello analogo non potrà che avere lo stesso esito.
Il mondo è cambiato e anche qualche autorevole esponente del gruppo di Tabacci e Pezzotta, ad esempio Andrea Riccardi, ha convenuto sul mutamento che qui ho tentato di descrivere.
In un articolo sulla Stampa, Riccardi osserva: «Si consuma, dopo l’89, la crisi del partito cattolico unitario, come era stata concepita negli anni della guerra e realizzata con la Repubblica. Finisce quel sistema elettorale e di partiti (la "repubblica dei partiti", secondo Scoppola) che aveva motivato la collocazione della Dc al centro. Nel bipolarismo italiano sembra non esserci più posto per un partito cattolico al centro». È la nostra stessa analisi, dalla quale abbiamo tratto, ben quindici anni fa, le dovute conseguenze.
Con ciò non è stata sottodimensionata la rappresentanza politica dei cattolici, ma, al contrario, essa è stata condotta ad un livello di forte incidenza sulla costituzione di un blocco politico moderato e di «buon senso». Tant’è vero che, ad oggi, ogni posizione di Benedetto XVI ha trovato la nostra più totale adesione: per autentico riconoscimento di una solida laicità nelle sue posizioni.

Laicità non relativistica e perciò autenticamente razionale. La storia determina questo nuovo disegno di incontri e convergenze. Questa è la novità della storia e della contemporaneità.
*Coordinatore nazionale
di Forza Italia

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