Fabrizio De Feo
Nostro inviato a Parigi
Sulla carta è un vertice bilaterale tra Paesi cugini che certo non brillano per simpatia reciproca. A sorpresa si trasforma nella celebrazione di una nuova «fraternità», in un sonante voltar pagina rispetto alle tante incomprensioni che in questi anni hanno opposto Silvio Berlusconi a Jacques Chirac. I due presidenti, quello del Consiglio italiano e quello della Repubblica francese, questa volta, non devono affatto impegnarsi per apparire naturali né simulare una diplomatica cordialità. L'abbraccio che si consuma nel cortile dell'Eliseo è spontaneo, ostentato, caloroso, simile alle manifestazioni di simpatia che il premier italiano scambia solitamente con George W. Bush. «Sarà un canovaccio studiato», insinua malignamente qualcuno. Ma i cattivi pensieri si infrangono sul muro di parole al miele che Berlusconi e Chirac distillano nella conferenza stampa finale, dopo circa tre ore di colloqui.
«Mai come oggi si può dire che tra Italia e Francia vi sia un idem sentire, una visione comune sui problemi europei. Siamo passati attraverso momenti di divergenza ma la stima e il rispetto non sono mai stati incrinati. Oggi non c'è Paese che sentiamo più vicino della Francia», esordisce il premier italiano che si complimenta con Chirac per la scelta «difficile e coraggiosa» compiuta con il via libera all'avvio dei negoziati per l'adesione della Turchia all'Ue.
La replica del presidente francese non è da meno. «Italia e Francia hanno una visione comune sull'Europa e sul suo futuro e oggi abbiamo rafforzato legami già forti. Siamo sorelle latine. E siamo pronti a marciare mano nella mano in tante battaglie comuni». Per il massimo inquilino dell'Eliseo è la rentrée dopo un mese di assenza dalle scene pubbliche, una pausa forzata impostagli dal suo staff medico a causa di una serie di problemi vascolari. L'attesa della stampa francese per il suo ritorno sulla scena è forte. E Chirac non delude i cronisti, mettendosi la convalescenza alle spalle con un duro affondo contro la Commissione europea. «C'è tra i cittadini una certa delusione verso l'Ue e fra le sue cause c'è la sensazione che la Commissione non difenda con sufficiente determinazione i loro interessi», attacca Chirac. «È normale - si chiede il capo dello Stato francese - che la Commissione si disinteressi di grandi imprese internazionali con sede in Europa che prendono decisioni socialmente pesanti? È normale che non abbia nulla da dire mentre gli Stati Uniti e i Paesi emergenti difendono i loro interessi a spada tratta e l'Europa ceda su tutto?». Chirac fa riferimento al caso della multinazionale informatica americana Hewlett Packard, che ha deciso di chiudere impianti in Europa tagliando 6mila posti di lavoro, 1.240 dei quali in Francia.
Se la bacchettata inferta a Bruxelles è un richiamo condiviso e gradito dall'opinione pubblica, più controversa appare la questione della Turchia «europea». I due presidenti, però, decidono di perorare insieme le ragioni di una scelta potenzialmente impopolare. «Non si può non vedere che nello spazio europeo si impone la presenza della Turchia», dice Chirac. «Dire no sarebbe assumersi una responsabilità molto grande». Il capo dello Stato francese ci tiene a sottolineare che «è la Turchia che aderisce all'Europa, non viceversa» e che il processo «comporterà uno sforzo di adeguamento ai valori dell'Europa per il quale saranno necessari 10-15 anni. Speriamo che ci riescano ma non ne sono del tutto sicuro. Ma richiedo: chi vi dice cosa vorranno i francesi fra 15 anni, chi si arroga il diritto di parlare a nome dei figli e dei nipoti? Per questo motivo ho deciso che l'ingresso della Turchia avverrà dopo un referendum e i francesi dovranno poter dire l'ultima parola».
Berlusconi loda il coraggio del presidente transalpino. E si sofferma sul valore strategico di un percorso di avvicinamento ad Ankara da lui fortemente voluto. «L'apertura del negoziato rappresenta un'occasione imperdibile per creare un ponte tra l'Ue, l'Occidente e il mondo musulmano dando vita a quel dialogo che è l'unica possibilità che abbiamo per risolvere un problema che si pone altrimenti come contrasto e, anzi, come guerra di religione e civiltà». «È importante considerare il momento dei rapporti tra Occidente e mondo musulmano - prosegue Berlusconi -. Sono rapporti segnati da fatti tragici originati dal fondamentalismo, da chi pretende che questi Stati siano governati attraverso la sharia». Bisogna invece ricordare che la Turchia, un grande Paese di 70 milioni di abitanti, è «diventata uno Stato laico» e si è data una costituzione che guarda ai valori e ai principi del sentire occidentale. Per queste ragioni, sostiene Berlusconi, «sarebbe stato imperdonabile dire no alla Turchia», dire no a chi «spinta da simpatia» ha fatto «un'offerta d'amore» all'Europa. Perché se l'Europa l'avesse respinta «quell'amore si sarebbe potuto tramutare in odio».
Stesso spartito e stessa tonalità anche sul dossier iracheno, una questione sulla quale Italia e Francia, in passato, si sono spesso «pizzicate». «Con Chirac abbiamo condiviso il giudizio su un futuro libero, autonomo e indipendente di questo Paese - spiega Berlusconi -. Siamo entrambi convinti che il graduale rientro dei militari terminerà quando l'Irak potrà garantire la sicurezza interna».
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