nostro inviato a Parigi - Jacques Chirac non si candiderà per un terzo mandato. Nicolas Sarkozy è troppo forte per pensare di sconfiggerlo. Per settimane il presidente francese ha cercato una pretesto per tentare l’impossibile e restare in sella. Ora deve arrendersi. L’annuncio ufficiale è rimandato a fine febbraio, ma ieri la rete televisiva France 2 ha divulgato il contenuto di un’intervista che non lascia spazio a dubbi. In un clima di grande commozione, il presidente francese ammette «che c’è una vita dopo la politica», mentre sua moglie Bernadette con la voce incrinata e gli occhi lucidi spiega che «la caduta è un po’ triste e che l’Eliseo le mancherà moltissimo, ma bisogna rassegnarsi al destino».
L’intervista, concessa a Michel Drucker, uno dei presentatori più popolari del Paese, sarà trasmessa domenica simultaneamente all’atteso discorso in cui Ségolène Royal indicherà le linee direttive del proprio programma e la coincidenza ha fatto sorgere il sospetto di un sabotaggio elettorale. Ma lo stesso Dricker ha precisato che la data era stata fissata a dicembre, prima che si sapesse del comizio socialista. D’altronde è inverosimile che in questa fase Chirac si schieri, tanto meno a favore di Sarkozy, considerati i pessimi rapporti tra i due. E infatti nell’intervista il presidente francese evita accuratamente di pronunciarsi sui candidati, preferendo parlare di se stesso a cuore aperto, nell’ambito di una trasmissione dedicata alle first ladies e, dunque, prioritariamente, a Bernadette. «Non sono una persona che vive nel culto del passato - si confida -. Mi sono dedicato totalmente alla mia missione al servizio della Francia. Il mio operato può essere apprezzato o criticato, poco importa. Ho sempre cercato di agire nell’interesse dei francesi. E se non avrò più queste responsabilità cercherò di servire il mio Paese in un altro modo». Già, ma come? Nel suo entourage che, a mezza voce, conferma la rinuncia, si parla della guida di un’organizzazione internazionale o di una fondazione ecologista. Di certo Chirac intende lasciare il segno in queste ultime settimane all’Eliseo, dove fu eletto dodici anni fa. Il 19 febbraio ha convocato a Versailles deputati e senatori in sessione congiunta per approvare due modifiche istituzionali, sull’abolizione della pena di morte e sullo status penale del capo dello Stato. Poi a fine marzo saluterà i leader europei al summit a Berlino per il 50esimo anniversario del Trattato di Roma. Versailles, la ribalta internazionale, un addio da monarca, come si è sempre considerato.
Sarkozy non commenta, ma nel suo quartier generale il buon umore è palpabile. Ora anche gli ultimi fedelissimi di Chirac saranno costretti ad appoggiarlo alle elezioni del 22 aprile, a cominciare dal premier Villepin, che già nei giorni scorsi lo avevo sorprendentemente difeso durante un dibattito pubblico. «SuperSarko», intanto, prosegue la campagna elettorale. L’altra sera era a Tolone, dove ha lanciato due messaggi: uno rivolto all’elettorato di Le Pen, che qui è ben radicato. Ha dichiarato di non avere intenzione di scusarsi per l’operato della Francia in Algeria e ha ammesso che «lo scontro di civiltà è una minaccia reale». È la prima volta che il candidato dell’Ump fa proprie le tesi di Huntington e questo rischia di alimentare le accuse di chi lo reputa troppo filoamericano.
Ma poi ha temperato i suoi propositi, elogiando l’«osmosi tra culture diverse» e proponendo un’Alleanza dei Paesi del Sud, imperniata sulla Turchia ed estesa a Italia, Spagna, Grecia, Cipro, Portogallo. In apparenza un’apertura nei confronti di Ankara, in realtà un modo per rafforzare il no alla sua adesione all’Unione europea. Sarkozy è infatti convinto che la Turchia non faccia parte dell’Europa, mentre può svolgere un ruolo importante del Mediterraneo.
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