
Gentile direttore Feltri,
mi trovavo in vacanza a Taranto quando ho visto un gattino piccolo, domestico, abbandonato sul ciglio di una strada. Era spaventato, affamato, tremava. L'ho preso, messo in macchina e portato con me a Roma, dove vivo. Adesso sta bene, dorme sul mio letto. Ma io mi chiedo: com'è possibile che esista qualcuno capace di abbandonare una creatura così indifesa? Che razza di essere umano può guardare negli occhi un animale che si fida e poi lasciarlo morire per strada?
Con affetto
Luca Mariani
Caro Luca,
prima di tutto ti ringrazio per il gesto che hai compiuto. Hai fatto quello che dovrebbe fare ogni persona che voglia dirsi umana e non semplicemente anagraficamente vivente.
Hai raccolto un essere indifeso, lo hai strappato al pericolo, gli hai dato riparo. Sei diventato casa. Hai realizzato qualcosa di grande. Purtroppo, però, la tua domanda, ossia «com'è possibile abbandonare un gattino?», non ha una risposta razionale. Perché quello che tu hai visto è l'espressione più lurida della nostra società: l'indifferenza. La crudeltà dell'abbandono ma anche del tradimento di chi si fida, di chi crede.
Un crimine commesso in silenzio, senza testimoni, senza grida, ma con conseguenze devastanti.
I numeri parlano chiaro, e fanno orrore: ogni anno in Italia oltre 50mila cani e 80mila gatti vengono abbandonati, con un picco tremendo d'estate. Soltanto nel mese di giugno 2025, l'Enpa ha segnalato più di 6.300 animali salvati dalla strada.
Non è progresso, caro Luca. È barbarie.
Altro che civiltà. Stiamo regredendo, e a grandi passi. In compenso, riempiamo i social di gattini e barboncini, postiamo aforismi sull'amore e sulla gentilezza, ma poi lasciamo morire creature innocenti come se fossero cartacce. Questa è la nostra ipocrisia contemporanea: amiamo gli animali quando sono nei reel, ma li trattiamo come spazzatura quando ci disturbano in casa, in vacanza, nella vita. Io non sono tenero con nessuno, ma davanti a queste cose divento addirittura feroce. Un Paese che tollera l'abbandono e il maltrattamento di animali è un Paese malato nell'anima, altro che civile.
Perché, vedi, il metro per misurare la grandezza di una civiltà è semplice: basta guardare come tratta i deboli, quelli che non possono difendersi. E fra tutti, gli animali sono i più indifesi.
Quando un uomo si accanisce contro una creatura che non può parlare, non può chiedere aiuto, non può fuggire, sta dimostrando quanto è piccolo, miserabile, spaventoso. Chi abbandona un animale non è solamente un incivile. È un vigliacco. Un infame. Te lo dico con il cuore in mano, perché anch'io ne ho raccolti tanti di animali persi e condannati.
Ho salvato cani, gatti, persino un asino destinato alla macellazione alla Festa dell'Unità, sì, un asino. Aveva quegli occhi grandi, buoni, rassegnati, e io non sono riuscito a lasciarlo lì, in balia dei comunisti intenzionati ad arrostirlo. L'ho portato via e l'ho donato a chi le bestie le ama, Michela Vittoria Brambilla.
Oggi vivo con tre gatti salvati dalla strada. Mi seguono come figli. Mi guardano e capiscono tutto. E se un giorno qualcuno dovesse chiedermi cos'è stato davvero importante nella mia vita, tra le mille battaglie, i giornali, i libri, le polemiche, qualche avventura e qualche amore...
Beh, io credo che tra le cose più nobili e belle che restano incise nel mio percorso ci siano anche quelle zampette sporche che ho portato a casa. Quelle code che mi hanno aspettato davanti alla porta. Quegli occhi che mi hanno ringraziato senza proferire nulla. Perché, caro Luca, chi salva un animale non salva soltanto una vita. Salva anche sé stesso.