Chiudono i centri d’addestramento e gli 007 restano senza le fonti

Non c’è pace per il Sismi, nel frattempo ristrutturato, riformato e diventato «Aise». Negli ultimi anni, causa ben note vicende giudiziarie (caso Calipari-Sgrena, Nigergate, sede «coperta» di via Nazionale, dossier Telecom, sequestro Abu Omar etc) il nostro servizio segreto «militare» è passato attraverso complicate controversie politico-giudiziarie. Che ne hanno, gioco forza, ridimensionato l’efficienza e l’affidabilità a livello internazionale. Al di là dei procedimenti penali, delle polemiche politiche, dei reportage giornalistici, intorno all’ex Sismi son continuate a circolare voci di guerre intestine, veleni e, soprattutto, indiscrezioni relative a responsabilità nelle falle nella scorta del premier e all’«irritualità» di determinati contatti «fra apparati di intelligence e magistratura», come riportato in un’interpellanza dal presidente emerito Francesco Cossiga. L’ultimo capitolo di questa lotta di potere riguarderebbe l’improvvisa accelerazione per lo smantellamento delle cosiddette «reti periferiche» del servizio (dove si sono formate e istruite decine di «fonti» arabe poi infiltrate dal Sismi nelle zone più calde del pianeta), reti disseminate attraverso i vari «centri operativi» dalla Sicilia alla Val d’Aosta. A ciò sarebbe seguito il trasferimento «obbligato» di un centinaio di funzionari - previsto dalla nuova normativa sull’intelligence - dall’ex Sismi a quell’Aisi che secondo le nuove direttive ha la totale competenza sulle minacce interne, mentre ai cugini con le stellette resta in esclusiva la copertura estera. E se c’è chi vede in questa decisione presa a cavallo della «vacanza» del cambio di direttore (l’ammiraglio Bruno Branciforte è diventato capo di Stato maggiore della Marina) l’ennesimo capitolo dell’infinita querelle tra pollariani e antipollariani - dal cognome dell’ex direttore del Sismi, Niccolò Pollari - più banalmente viene fatto osservare come questa scelta vada a incidere sui gangli vitali che regolano l’effettiva sicurezza dello Stato: se è vero che i nostri Servizi, come tutti i Servizi, reclutano in Italia le fonti informative da infiltrare e inviare nei teatri d’interesse (Pakistan e Afghanistan soprattutto) la chiusura della maggior parte dei «centri interni» e il contestuale passaggio di consegne all’ex Sisde rischia di vanificare una prassi consolidata che ha dato i suoi frutti: all’ex Sismi, infatti, non sarebbe più permesso di lavorare sugli stranieri in Italia da infiltrare in zone di guerra dove la «penetrazione» è a dir poco impossibile. Negli Usa, non a caso, Cia e altri apparati d’intelligence s’industriano dentro e fuori i confini nazionali, sui cittadini stranieri e loro parenti, che lavorano o studiano lì.

Scindere il lavoro «interno» da quello «esterno» servirà a normalizzare il settore dilaniato dalle polemiche, non servirà quando dall’altra parte del mondo arriveranno richieste d’aiuto che ci riguardano molto da vicino.

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