Ciampi: basta leggi pro-premier Ma da presidente le approvava

RIMBROTTO Fa presente a Napolitano che «il Colle può non promulgarle». Ma a lui capitò solo tre volte

RomaNon se lo aspettavano in molti un Carlo Azeglio Ciampi in versione dipietrista. È stato colto di sorpresa persino Antonio Di Pietro, che è subito passato all’incasso nel suo stile, senza fare sconti nemmeno all’ex presidente della Repubblica che gli tendeva la mano: «Finalmente - ha scritto l’ex pm nel sito di Italia dei valori - si uniscono al coro “No-Berlusconi” molti individui che un tempo etichettavano la mia politica come chiassosa, antiberlusconiana a prescindere, oltranzista, manettara, giustizialista». Ma non se lo aspetta nemmeno il Partito democratico, che ha risposto all’iscritto Ciampi con un silenzio imbarazzato dei vertici.
Reazioni comprensibili, perché l’intervista-colloquio del vicedirettore di Repubblica Massimo Giannini si può interpretare in un solo modo: come un attacco di Ciampi all’attuale capo dello Stato Giorgio Napolitano. «Io non do consigli a nessuno, meno che mai a chi mi ha succeduto al Quirinale. Ma il capo dello Stato, tra i suoi poteri, ha quello della promulgazione. Se una legge non va non si firma». Le leggi da non firmare, va da sé, sono quelle ad personam a favore del premier Silvio Berlusconi. «Le riforme si fanno per i cittadini, non per i singoli. L’ho sempre pensato ed oggi ne sono più che mai convinto: basta con le leggi ad personam che non risolvono i problemi della gente e non aiutano». Tesi perfettamente compatibile con la campagna di Repubblica, che ieri il quotidiano di Largo Fochetti ha arricchito con un elenco di diciotto leggi ritagliate su misura per gli interessi del premier.
Peccato che quattordici provvedimenti tra quelli della lista nera di Repubblica, siano stati promulgati proprio da Carlo Azeglio Ciampi, intervistato cinque pagine prima. Alcune di queste leggi sono state effettivamente rinviate alle Camere da Ciampi. La cosiddetta legge Gasparri e la riforma della Giustizia del 2004 e la legge Pecorella. Ne restano undici che, interpretando alla lettera le argomentazioni di Ciampi nell’intervista e di Repubblica, lo stesso ex presidente avrebbe dovuto rispedire al mittente per una seconda lettura. Tra queste le rogatorie internazionali, l’abolizione dell’imposta di successione, la depenalizzazione del falso in bilancio, la cosiddetta Cirami.
Giorgio Napolitano non ha reagito. Dal Quirinale si fa solo notare che la presidenza della Repubblica non commenta le posizioni degli ex capi dello Stato. Non ci fu replica alle precedenti esternazioni di Francesco Cossiga e non ce ne sarà una a Ciampi. Al massimo, si osserva che il caso citato, quello della legge accorcia processi, non calza perché è di iniziativa parlamentare e quindi non può essere soggetta alla moral suasion della prima carica dello Stato, a differenza dei provvedimenti approvati dal governo.
Comunque, Napolitano sembra preferire un altro tipo di influenza politica, come dimostra un nuovo appello alla coesione nazionale: «Fare sistema, attorno alle questioni vitali per il nostro futuro.

Si realizzi il massimo possibile di unità delle forze politiche e istituzionali». Dove le questioni vitali sono quelle economiche. «Sugli investimenti per la ricerca e lo sviluppo ci giochiamo il nostro futuro. A parole nessuno lo nega, poi tra parole e fatti spesso ci sono differenze notevoli».

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