Egidio Sterpa
Il vicepremier e ministro degli Esteri di Berlusconi non finisce di sorprendere. Ora propone la rielezione di Ciampi al Quirinale. Qual è la ratio di una simile mossa? È premeditata e calcolata o estemporanea e superficiale? Vediamo di ragionarci freddamente, comè necessario quando ci si trova di fronte a fenomeni insoliti ed eccezionali.
Cominciamo col dire - non solo per evitare sospetti di parzialità ma con convinzione - che indubbiamente lesperienza di Ciampi al Quirinale va giudicata positivamente. Almeno per il novanta per cento, aggiungiamo. E diremo poi di quel dieci per cento che a nostro avviso difetta.
Certamente lattuale capo dello Stato ha ben rappresentato lItalia allestero. Molto gli sono serviti il passato di governatore di Bankitalia, la buona conoscenza dellinglese, una cultura solida (viene dalla Normale di Pisa), un bon ton naturale e affinato nei tanti anni di frequentazioni internazionali.
Ha saputo poi coltivare, con intelligenza (gli va riconosciuta più che a qualunque altro suo predecessore), il rapporto con lopinione pubblica interna con i molti viaggi nelle province italiane, la presenza attiva alle varie cerimonie con la pronuncia di locuzioni appropriate e discorsi pacati e misurati e sempre coinvolgenti.
Non cè dubbio, nel rapporto cordiale e proficuo del Presidente con la gente molto hanno contribuito la presenza e laccompagnamento costante, continuo della signora Franca, figura di consorte congeniale, connaturale direi, alla media delle famiglie italiane.
Va detto di più a completare il giudizio positivo: Ciampi si è conquistati popolarità e merito storico riportando al posto donore la parola Patria, rivalutando la bandiera e linno nazionali, ponendo attenzione a valori civici ed etici tenuti in ombra per troppi anni.
Dovè, dunque, quel dieci per cento che manca al full load, per dirla allinglese, o al plenum, per dirla nel nostro latino, di una perfetta presidenza della Repubblica? Detto con franchezza, senza che ci venga meno la stima per il buon italiano che certamente è lattuale inquilino del Quirinale: è mancata attenzione per una non inconsistente parte della cultura del Paese, quella non di sinistra. Lo si è rimarcato, per esempio, nelle nomine dei senatori a vita. In quel dieci per cento in meno forse hanno pesato i trascorsi giovanili del Presidente nel Partito dAzione. Lamico Sandro Bondi, giustamente, ha rammentato lesclusione dal laticlavio di Luigi Preti e Nicola Matteucci, due personaggi esemplari per coerenza e cultura, luno socialdemocratico da sempre e per sempre, va aggiunto, senza ondeggiamenti; laltro liberale e studioso di altissimo livello del costituzionalismo inglese e dellilluminismo francese.
Ora torniamo a Fini e al suo improvviso affondo sul futuro del Quirinale. Quale scopo si prefigge il leader di An? Quale la chiave di lettura di questa sua inusitata uscita? Anche qui mettiamo sul tavolo ogni possibile ragione, imparzialmente cosè nostro costume. La prima e più normale: la convinzione che il centrodestra sarà perdente alle prossime elezioni e che comunque non avrà i numeri per imporre un proprio candidato? Oppure: il tentativo di mettere il cappello su una soluzione da concordare con gli avversari, e cioè in una ipotesi bipartisan, comè possibile che avvenga quando, fra sette od otto mesi, il nuovo Parlamento voterà lundicesimo presidente della Repubblica?
Mettiamo da parte, per opportune discrezione e temperanza, altre maliziose interpretazioni. Ma come ignorare che non manca chi non esclude che questa mossa finiana - guarda caso, assecondata da Tremonti, che in questa occasione sè distaccato dalla Lega - preluda allavvicinamento a una «grande coalizione», da prevedersi, se non come immediata prospettiva, almeno nel corso della prossima legislatura, se il centrosinistra vincerà, quando cioè potrebbe risultare impossibile una coabitazione con Bertinotti e altre componenti oltranziste?
Unultima valutazione: questo inaspettato volteggio di Fini rafforza o indebolisce la coalizione di centrodestra? Che la rafforzi è da escludere. Certo è che non può non dispiacere alle altre componenti della Casa delle libertà.
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