Una cicatrice sul volto dell’Umbria La ricostruzione a 10 anni dal sisma

Settembre 1997, un terremoto devasta il cuore dell’Italia: 76 comuni in macerie e oltre 22mila senza tetto. Bilancio di una tragedia ancora aperta

da Milano

La ferita provocata dal terremoto che dieci anni fa devastò Umbria e Marche si va rimarginando. In otto mesi di scosse telluriche, con massima attività nel settembre del 1997, ben 76 comuni umbri subirono estese devastazioni (Nocera Umbra riportò perfino alterazioni pesanti all’assetto geologico del suo territorio) ed oltre 22mila persone restarono senza tetto. Furono inventariati in ben 33mila gli interventi di ricostruzione necessari a ripristinare lo stato dei luoghi con una spesa che, a lavori ultimati, dovrebbe raggiungere gli 8 miliardi di euro. Le ferite pian piano scompaiono, anche se sulla terapia qualche perplessità resta. «Non facciamo denunce becere - dice subito Fiammetta Modena, capogruppo di Forza Italia alla Regione Umbria -, ma ci sembra che sia il momento non di autocelebrazioni ma di una ulteriore riflessione su aspetti che lasciano a desiderare, come sul fatto che il 10 per cento degli sfollati non abbia ancora recuperato il proprio tetto, sul fatto che il Pil regionale sia in affaticamento, con indice lievemente negativo, segno che le ingenti risorse finanziarie immesse in questi anni si sono indirizzate più al sostegno della spesa pubblica corrente che dello sviluppo».
L’avvocato Modena dice con rara schiettezza che la ricostruzione è stata fatta a dovere, ciò non sminuisce l’esigenza di sanare una situazione denunciata anche dall’episcopato umbro, e cioè il fatto che non poche zone rurali con presenza per lo più di popolazione anziana registrino uno stato di sostanziale abbandono sia da parte di molti abitanti che di adeguate strutture sociali di sostegno. Par di capire che la ferita più profonda indotta dal sisma e non pienamente recuperata sia leggibile in uno sviluppo del territorio che non ha pienamente risposto alle attese.
Dalla diagnosi bisogna dunque passare alla terapia, intervento che l’avv. Modena indica anzitutto in una presa di coscienza di questo stato di cose, incluso il fatto che la ricostruzione non è affatto terminata; secondariamente occorre cercare ulteriori slanci per cancellare definitivamente la presenza di container-uso abitazione installati all’epoca dell’emergenza. Infine sarebbe opportuna una correzione di rotta che imprima una spinta virtuosa allo sviluppo economico e sociale della regione.
Che la parentesi terremoto non sia ancora da archivio lo certificano gli stessi dati dell’Osservatorio sulla ricostruzione pubblicati in prospetti esemplari dalla stessa Regione Umbria: la popolazione rientrata nelle proprie abitazioni è il 90 per cento di quella sfollata (20.321 persone su 22.604 sfollate); gli interventi del programma 1998-2001 sono realizzati per l’86 per cento, mentre quelli del Programma 2002-2008 sono al 44 per cento. Infine l’avanzamento della spesa per queste voci è al 75 per cento, con esborsi pari a quasi 4mila miliardi di euro.
«Sì, c’è stata qualche piccola difficoltà indotta dal non aver accolto alcune scelte coraggiose che noi avevamo proposto per evitare frammentazioni e accaparramenti di incarichi da parte dei progettisti, ma bisogna dire chiaramente che il modello umbro applicato all’evento sisma ha funzionato in maniera soddisfacente rispetto a quello che eravamo abituati a vedere in Italia, anche grazie alla capacità e alla abnegazione delle imprese e delle loro maestranze che hanno dimostrato di saper operare efficacemente, smentendo la sfiducia manifestata da più parti. Ed è motivo di profonda amarezza il dover constatare che, nelle tante manifestazioni organizzate per il decennale, le imprese, che sono state le vere artefici della ricostruzione, appaiano completamente trascurate». Mario Fagotti, nel 1997 presidente degli imprenditori edili e oggi di Confindustria umbra, torna a fare serenamente il punto sulla ricostruzione a otto anni dalle dichiarazioni, rilasciate al Giornale, che irritarono la sinistra: «Bisognerà attendere almeno il 2006 - disse all’epoca l’ing. Fagotti - per arrivare al completamento della ricostruzione; per quanto si voglia accelerare, ci sono tempi non comprimibili. Recuperare centri storici come Nocera Umbra, Foligno o Assisi, dove non è pensabile demolire, imporrà tempi che verranno dettati dagli interventi di recupero e di adeguamento sismico di moltissimi edifici. È stata fatta la scelta di salvaguardare i centri medioevali e l’unica alternativa sarebbe quella di realizzare dei falsi, falsi d’autore magari, ma sempre falsi. Questi sono i tempi tecnici che la mia esperienza mi fa ritenere necessari». Qualificati esponenti della maggioranza in Regione gli diedero del pessimista, assicurando che entro il 2000 al più quattro gatti sarebbero rimasti nei container e nel 2007 si sarebbero tagliati gli ultimi nastri inaugurali. Le cose non sono certamente andate male, ma forse non così bene come gli amministratori assicuravano. «Il fatto è - spiega Fagotti - che a differenza di quanto avvenuto in Friuli, dove gli sfollati furono alloggiati negli alberghi della costa, in Umbria fu fatta la scelta di mantenere la gente, specie nelle aree rurali, vicina alle case e al proprio bestiame, ciò complicò il problema dell’emergenza, anche se a Natale del 1997 tutti avevano abbandonato le tende per i container. Queste scelte potevano essere diverse. Oggi i container sono stati portati via e sono rimaste le piazzole con le casette in legno, strutture che si cerca di riutilizzare per il turismo. La ricostruzione ha valorizzato alcuni borghi in aree spettacolari che difficilmente avrebbero attirato risorse; par di vivere nell’Italia dei sogni. Il modello Umbria ha portato alla adozione del Durc (Documento Unico di Regolarità Contributiva), ora attivato anche a livello nazionale, uno strumento che ha portato all’emersione del nero, dato che il privato beneficiario di un contributo pubblico doveva dimostrare di aver utilizzato manodopera in regola. La soluzione fu frutto di accordi tra sindacati e imprenditori, questi ultimi intenzionati a far fare un salto di qualità alle imprese con la magica emersione di ventimila lavoratori. Di più: con tredicimila cantieri aperti i morti sul lavoro ad oggi sono zero. E oggi il Durc, inventato da noi, viene esteso per legge anche al comparto privato su scala nazionale. Dove prospera l’economia sommersa fioriscono imprese irregolari che fanno concorrenza sleale potendo prevalere nelle gare col massimo ribasso mettendo così fuori mercato chi rispetta la legge».
Dunque, anche il nero scolora alla luce del sole e le ombre svaniscono, ciò che un po’ contrasta con le riflessioni a voce alta che escono dalla Casa delle libertà. «Anche in Umbria come del resto in tutto il Paese, maggioranza e opposizione non dialogano su obiettivi ma si contrappongono a priori - dice Fagotti -; se critica devo fare è che con quel modello che avevamo proposto con forme di garanzia assolute (intorno al terremoto ci sono state indagini e denunce ma non si è trovato granché) si poteva fare molto di più. Io dicevo che ci volevano dieci anni per risistemare tutto; se si fosse scelta un’altra strada e cioè quella di una forma di ricostruzione gestita, pur nella consapevolezza dei problemi indotti da Tangentopoli, avremmo guadagnato un paio d’anni nella ricostruzione, invece dell’assoluta concorrenza senza regole in nome della massima trasparenza».


«Gli interventi sul territorio hanno portato al consolidamento anche delle piccole imprese; i monumenti sono quasi tutti restaurati e resi antisismici dato che l’Umbria, una volta sistemati i senza tetto, non poteva non dare priorità al richiamo turistico. In conclusione col senno di poi si potrebbero introdurre migliorie al modello Umbria di ricostruzione. Che comunque, per quanto se ne dica, modello resta».

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