E dire che la fotografia con le braccia al cielo ce l’ha per davvero, peccato che è il simbolo di tutte le sue sconfitte: beffato allo sprint proprio sul più bello. Massimo Giunti, corridore ciclista, pescarese doc, professione eterno piazzato: 34 anni a luglio, di cui ventotto passati in sella ad una bicicletta, non riesce a vincere nemmeno per sbaglio. Anzi, quando si trova lì ad un passo dal successo, sbaglia. Va letteralmente in stato confusionale e perde.
Giunti, undici anni da professionista, non è insomma riuscito ancora oggi a vincere uno straccio di corsa. Ma lui buon corridore lo è per davvero: un onesto faticatore del pedale, che ha cominciato a muovere le sue prime pedalate in sella ad una bicicletta nel 1980, a soli sei anni. «Fu mio papà, Sergio, morto nel ’92 per un tumore, grande appassionato e tifosissimo di Francesco Moser, a mettermi in sella – racconta Giunti, oggi corridore alla sammarinese Miche, una piccola formazione ma molto ben organizzata -. Ricordo che venne a casa con una “Enrico Paolini” di color rosso. Rossa come la Ferrari, rossa come la Ducati, rossa come il colore dei vincenti. Il problema è che io ho sempre avuto una idiosincrasia per la vittoria. Prima corsetta davanti a casa, terzo posto. Felice per la coppa, ma che delusione per quei due miei coetanei che arrivarono prima di me...».
Nelle categorie giovanili è comunque un discreto corridore. Una sessantina le vittorie raccolte, la prima da giovanissimo a Chiaravalle, in provincia di Ancona; l’ultima se la ricorda bene, anche perché da allora non ce ne sono state più. «Ero dilettante, vinsi a La Rotta, in provincia di Pisa, la maglia di campione regionale. In quella mia ultima stagione da dilettante portai a casa otto corse. Fu così che mi si aprirono le porte della massima serie». Il passaggio al professionismo nella stagione 1998, con la maglia della Cantina Tollo di Gilberto Simoni. «Me la cavo in salita, ho un buono spunto veloce - racconta il pesarese, padre di Melissa e Cristian -, ma per una ragione o per l’altra ho solo fatto incetta di secondi e terzi posti. Mai uno straccio di vittoria. Ci sono arrivato vicinissimo alla coppa Bernocchi nel 2003. Volata a ranghi compatti, mi lancio benissimo, c’è un po’ di vento contrario, mi coordino cercando di sprigionare tutta la forza che ho nelle gambe, vedo lo striscione rosso d’arrivo davanti a me e penso: è fatta. Alzo le mani, ma Sergio Barbero, avversario serio e leale, con un micidiale colpo di reni mi toglie la vittoria per un niente. Resto di sale. Quella corsa, assieme alla Tre Valli Varesine e alla Coppa Agostoni faceva parte del “trittico lombardo”. Chi faceva più punti nelle tre prove, si aggiudicava un diamante del valore di 10mila euro messo in palio dalla Regione Lombardia. Ottavo alla Tre Valli, terzo all’Agostoni. Con quel maledetto secondo posto vinco il diamante: io a pezzi, mia moglie Cinzia l’unica ad essere felice».
Ama il ciclismo e lo sport in generale. A Pesaro gestisce con la moglie il «Giunti Professional Bike», un negozio di biciclette. «Ma francamente mi piacerebbe chiamarlo “Vittoria”, se solo riuscissi a rompere il ghiaccio...».
Juventino, tifoso di Valentino Rossi, della Scavolini e di Federer. «Il tennis mi piace da morire, e Roger è il mio campione preferito.
Forse sono attratto da questi fenomeni perché io non lo sono, anche se in un certo senso fenomeno al contrario lo sono anch’io: non vinco mai. Pensi che spesso sogno di essere in corsa. Faccio letteralmente i numeri, stacco tutti e sul più bello sbaglio strada: non c’è verso, non riesco a vincere nemmeno nei sogni».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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