La Cina anti-inflazione mette paura ai mercati

Il giro di vite sui tassi deciso dalla Cina il giorno di Natale dovrebbe rallegrare i Paesi occidentali. La misura è stata presa per stemperare l’inflazione, al 5,1% in novembre (massimo da 28 mesi), ma avrà un impatto anche sui rapporti di cambio. Lo yuan subirà, insomma, una rivalutazione, secondo gli esperti collocabile nel 2011 attorno al 6%. Una moneta cinese più forte è quanto i governi di Usa ed Europa chiedono da tempo a Pechino, accusata di praticare una sorta di dumping valutario per favorire l’export.
In realtà, la seconda stretta monetaria decisa nel giro di un paio di mesi contiene anche qualche controindicazione per le economie più sviluppate, come peraltro dimostra la reazione di ieri delle Borse in Europa, in calo di circa l’1% (Milano è scesa dell’1,25%). Restringendo le maglie del credito, le autorità monetarie cinesi dimostrano grande determinazione nel voler stroncare il surriscaldamento dei prezzi, in particolare quello dei generi alimentari, possibile focolaio di pericolose tensioni sociali.
Il mese scorso il premier Wen Jiabao non aveva escluso l’ipotesi di introdurre prezzi amministrati sui prodotti di più largo consumo, ma nel frattempo il governo punta a controllare prestiti bancari e liquidità finanziaria, mentre fa capolino anche l’opzione di un controllo delle riserve bancarie e delle operazioni a mercati aperti.
Si tratta di provvedimenti che raffredderanno il carovita, ma rallenteranno anche in futuro l’intera economia, la cui crescita 2010 stimata dalla Banca mondiale è pari al 10%. Da questo punto di vista la reazione di ieri dei mercati, non solo quella della Borsa di Shanghai (-2%) direttamente coinvolta da queste misure, è comprensibile. E lo è a maggior ragione se si considera il -4% accusato dall’indice dei titoli automobilistici in seguito ai provvedimenti contro l’inquinamento e il traffico presi dalla giunta di Pechino, città da oltre 20 milioni di abitanti che finora ha rappresentato l’Eldorado per i gruppi mondiali dell’auto. Nella capitale, dal 2011 verranno concesse solo 240mila autorizzazioni per le auto nuove, poco più di un terzo rispetto alle 700mila garantite quest’anno. Ed è prevedibile che in caso di minor crescita, nel 2011 le immatricolazioni complessive cinesi non riusciranno a reggere il confronto con i 18 milioni di autovetture che quest’anno hanno trovato un proprietario. Un vero boom. Agevolato, a partire da gennaio 2009, dagli incentivi governativi pari al 10% del prezzo d’acquisto, poi ridotti al 5% e da inizio 2010 stabilizzati al 7,5%.


Legittimi, dunque, i timori delle case costruttrici occidentali, soprattutto dei marchi tedeschi come Bmw e gruppo Volkswagen, i cui bilanci hanno più che beneficiano degli acquisti cinesi. Ma anche Fiat, che dal 2012 produrrà le prime vetture made in China, deve incrociare le dita e sperare che il Dragone non spenga i motori.

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