
«Kim unisce due proverbiali qualità: dà l'idea di essere contemporaneamente una dama in un salotto di classe e una prostituta in camera da letto» ha avuto modo di dire Richard Quine che l’ha diretta in Criminale di turno del 1954. Ma, nell’immaginario collettivo, rimane lo sguardo glaciale, enigmatico, vertiginoso di Kim Novak, con quegli occhi che scrutano lo spettatore e lo interrogano. Certo, ora che le è stato attribuito il Leone d’oro alla carriera dell’82a Mostra d’Arte Cinematografica (27 agosto – 6 settembre 2025), la leggendaria attrice statunitense torna al Lido dopo aver spento 92 candeline e dopo essersi sottoposta in passato a interventi di chirurgia estetica al viso che, l’ha confessato in un’intervista al Guardian, «è stata la cosa più stupida che abbia mai fatto».
Ma oggi l’unica cosa che conta veramente è l’appuntamento con il più antico festival del mondo: «Essere riconosciuta per il mio lavoro in questo momento della mia vita è un sogno che si avvera», ha dichiarato l’attrice che all’anagrafe, a Chicago il 13 febbraio del 1933, dai genitori di origini ceche riceve il nome di Marilyn Pauline Novak. E per una falsa Marilyn (Monroe) che in realtà si chiamava Norma Jean, ecco una vera Marilyn costretta a cambiare nome perché il boss della Columbia, Harry Cohn, che l’aveva messa sotto contratto in esclusiva per dieci anni e ne aveva costruito l’immagine facendole ossigenare i capelli, mettendola a dieta, prescrivendole cosa indossare, come parlare e con chi uscire, le propone il nome d’arte di Kit Marlowe perché «nessuno va a vedere una ragazza con un nome polacco». «Sono cecoslovacca, non sono polacca, ed è il mio nome» gli urlò l’attrice. Alla fine il compromesso: Kim Novak.
Neanche un lustro e diventa una delle attrici più popolari a Hollywood, a 22 anni – siamo nel 1955 – è già protagonista accanto a William Holden in Picnic di Joshua Logan e a Frank Sinatra in L'uomo dal braccio d’oro di Otto Preminger. Poi eccola con Tyrone Power nel drammatico
Incantesimo di George Sidney, regista con il quale girò anche Un solo grande amore e Pal Joey accanto a Rita Hayworth con cui si contende un romantico cantante interpretato ancora da Sinatra.
Nel 1957 Kim Novak viene scelta da Alfred Hitchcock per l’interpretazione della vita (e della storia del cinema) ossia La donna che visse due volte. In un doppio ruolo – la raffinata Madeleine e la procace Judy – proprio da vertigo (come il titolo originale del film richiamato anche dal documentario Kim Novak’s Vertigo di Alexandre Philippe che verrà presentato in anteprima alla Mostra di Venezia) accanto a James Stewart e con Hitchcock che, sornione, alla sua domanda: «Non riesco a capire perché prima vediamo Madeleine alla finestra dell’hotel, e poi scompare. Come ha fatto a lasciare l’hotel?», risponde: «Ah, mia cara... Non è che tutto deve avere un senso in un film del mistero».
Poi un’altra manciata di film sempre con Richard Quine, nel 1958 in Una strega in Paradiso accanto all’amato James Stewart, a seguire
Noi due sconosciuti con Kirk Douglas e L’affittacamere con Jack Lemmon. Poco amata dalla critica che, ovviamente, ne ha rivalutato solo dopo l’importanza e la statura (Alberto Barbera, direttore della Mostra del Cinema, ha commentato: «Il Leone d’oro alla carriera intende celebrare una star ribelle nel cuore del sistema, che ha illuminato i sogni della cinefilia»), e con nessun premio importante all’attivo, nel 1964 chiude praticamente la sua fulminante carriera nel ruolo autoironico di una prostituta in Baciami, stupido di Billy Wilder.
Tanti gli amori che le sono stati attribuiti, da Cary Grant e Frank Sinatra di cui, il perfido capo della Columbia, diceva: «Almeno sono uomini di classe», anticipando lo scandalo dell’infatuazione per Sammy Davis Jr.. Alla fine degli anni ’60 Kim Novak molla tutto – «ho affittato un furgoncino e preso ciò che per me era di valore: foto, attrezzi per dipingere, pensando: “Questo è ciò che conta”» – lascia la California per l’Oregon dove inizia la sua seconda vita con il veterinario equino Robert Malloy, che sposa in una bellissima storia d’amore che, per poco, non ha compiuto cinquant’anni.
Kim Novak sta ancora lì, nella sua casa sul fiume Rogue che sfocia nel Pacifico, i quattro cavalli, i due cani e, soprattutto, i pennelli: «Vado ancora a cavallo tutti i giorni. Spero di cavalcare fino a incontrare il tristo mietitore. No, troppo triste. Spero di cavalcare fino al paradiso», ha detto, ridendo come una ragazzina, in una delle sue ultime interviste, nel 2021 al Guardian.