Il cippo e i diritti calpestati

Il cippo e i diritti calpestati

La paradossale decisione del consiglio comunale che, a maggioranza, ha dato il via libera alla realizzazione di un cippo commemorativo in piazza Alimonda in ricordo di Carlo Giuliani sono la dimostrazione lampante della «revisione storica» in atto che hanno trasformato radicalmente la realtà dei fatti accaduti nei tragici giorni del G8. Chi era Carlo Giuliani lo ha scritto in una lettera aperta ai genitori, un prete che era a Genova a manifestare, don Paolo Farinella: «Le immagini immortalano Carlo Giuliani con un estintore in mano, pronto al lancio, pronto a colpire. Se avesse potuto uccidere, in quel momento, vostro figlio avrebbe ucciso. Quel giorno io c'ero e ho visto con i miei occhi: Carlo non era con le centinaia di migliaia di ragazzi e ragazze pacifici e non violenti, ma era in prima fila, là solo dove i violenti dominavano la piazza».
Un dato ritengo sia incontrovertibile: nel luglio 2001 la frangia violenta dei no-global ha messo a ferro e fuoco Genova. Sono decine i casi in cui si è tentato il linciaggio fisico di poliziotti e carabinieri. Un mezzo dell'Arma fu addirittura dato alle fiamme all'angolo tra via Invrea e Corso Torino: in quel mezzo c'erano degli essere umani la cui unica colpa era indossare una divisa, uomini che hanno rischiato di essere bruciati vivi solamente perché erano carabinieri!
A rileggere la maggior parte dei giornali, emerge evidente che il clima che ha seguito le manifestazioni genovesi sia stato caratterizzato da una sorta di «revisione storica» di quelle tragiche giornate che sembra mettere sotto accusa soltanto l'operato delle forze dell'ordine, il che non é per nulla rispondente alla realtà. Si parla molto di eccessi polizieschi, ma poco o nulla delle responsabilità di coloro che hanno deliberatamente provocato e devastato. Le colpe di alcuni agenti sembrano essere considerate più gravi della strategia con cui i contestatori sono scesi in piazza e delle complicità da cui hanno tratto vantaggio. Personalmente non ci sto: non credo che i «buoni» fossero solo da una parte ed i «cattivi» esclusivamente dall'altra! Ed è per questo che sostengo che le responsabilità di comportamenti contrari alle leggi dello Stato debbano essere individuate singolarmente, non certo per categoria, proprio come prevede la carta costituzionale.


Mi domando e domando: disubbidire alle leggi per manifestare contro la globalizzazione è un diritto? Le buone intenzioni e le cause giuste giustificano il mancato rispetto delle leggi? Cercare di penetrare in una zona presidiata dalla polizia per ragioni di sicurezza - come pretendevano gli antiglobalisti «pacifici» - è affermare un principio di libertà o violare l'ordine pubblico? Chi manifesta violentemente è, poi, una vittima delle forze dell'ordine o un potenziale rivoluzionario che affronta consapevolmente un rischio? E ancora: l'ordinamento giuridico (la Costituzione) di un Paese di democrazia liberale deve contemplare anche il diritto alla rivolta? Farsi giustizia da sé, reagendo all'intervento delle forze dell'ordine, è reato o legittima difesa? Carlo Giuliani è morto per «legittima difesa» - come continua a sostenere il capo delle Tute bianche, Luca Casarini - o perché «un carabiniere ha scelto di non diventare una medaglia d'oro alle memoria» (come ha detto suggestivamente un giornalista non sospettabile di simpatie «cilene», Toni Capuozzo)? Le forze dell'ordine dovrebbero limitarsi a «fare barriera» contro la pressione dei dimostranti o hanno anche il diritto-dovere di «caricarli» per preservare l'ordine pubblico? Per ultimo: la morte di un carabiniere o di un poliziotto è democraticamente più «accettabile» di quella di chi è andato al loro assalto? È giusto che a pagare per i fatti di Genova siano solo i poliziotti, i responsabili dell'ordine pubblico «rimossi» dai loro incarichi, forse troppo frettolosamente dall'ex ministro dell'Interno Scajola, e non anche chi ha organizzato e gestito la manifestazione degli no global?
Queste domande, scomode per qualcuno, attendono risposte. Soprattutto dall'opinione pubblica, nel rispetto di chi serve il Paese, sempre e comunque, in pace e con grande responsabilità.
Segretario gen. Sappe

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