C'è sempre un pizzico di diffidenza quando, di fronte a un qualcosa che si potrebbe tranquillamente spiegare con una parola italiana, si usano termini stranieri. Ad esempio "smart city", la città intelligente, quella che sfrutta tecnologie digitali per migliorare i servizi, l'ambiente in genere la vita di chi ci vive. Milano, come tutte le grandi metropoli, va in questa direzione. Negli ultimi anni è diventata intelligente e connessa, con una mobilità sempre più sostenibile, con le colonnine elettriche che hanno preso il posto dei benzinai, pronta a sperimentare come già fanno da altre parti nel mondo le auto a guida autonoma. Una città soprattutto bike friendly cioè amica di chi pedala. Non senza polemiche. I dubbi sull'utilità di molte ciclabili, sulla loro sicurezza, sul fatto che spesso siano frutto di un'ideologia green ( pardon, verde) non fanno parte solo del dibattito politico ma vengono sollevati anche da chi in bici ci va. Non ultimi quelli sul tratto realizzato in questi giorni tra via Piacenza a via Giulio Romano ( e di cui ci occupiamo oggi in cronaca) giudicato ad alto rischio proprio dai ciclisti che rimpiangono i tempi in cui la pista non c'era: si stava meglio quando si stava peggio. La mobilità è tema complesso, un delicato esercizio d'equilibrio tra auto, bici, mezzi pubblici, pedoni da gestire con prudenza.
Giusto favorire la mobilità dolce ma non l'approccio talebano e schizofrenico di questi ultimi anni che ha messo nel girone dei virtuosi chi pedala e in quello dei dannati tutti gli altri. Nulla contro la città "smart" ma con un po' di buonsenso in più sarebbe sicuramente più intelligente