Professor Canfora, si discute molto di cittadinanza in questo periodo, e nel farlo si ripescano i modelli del mondo antico. Soprattutto quello del mondo romano. È un paradigma di confronto che ci può essere utile?
«E perché quella romana e non quella greca?».
Non sono molto diverse?
«Allora, ascolti, si è scritto molto sul tema, ma il punto di riferimento più interessante, e per altro molto divulgativo, è il saggio che il filologo tedesco Ulrich von Wilamowitz-Moellendorff pronunciò di fronte alle truppe tedesche nel 1918. Si intitolava Cittadini e guerrieri negli Stati dell'antichità, Volk und Heer in den Staaten des Altertums. Negli stati antichi la cittadinanza era legata alla funzione militare. Il cittadino è il soldato e chi combatte decide. Era un principio indiscutibile. Semmai cambiano le applicazioni».
In che senso?
«I romani, necessitati a gestire enormi territori, divennero col tempo più flessibili. Ad Atene uno schiavo che comprava la libertà diventava un uomo libero, non un cittadino. A Roma poteva diventare un cittadino a tutti gli effetti. I romani inventarono poi una cittadinanza a più livelli, si poteva essere cives romani e avere tutti i diritti o averne solo una parte».
Erano generosi verso gli altri popoli?
«No, erano pragmatici, nessuna inclinazione a far regali, i regali li fanno solo i re magi. C'è un celebre discorso dell'Imperatore Claudio riportato da Tacito negli Annales. Claudio, nel 48 d.C., voleva far entrare nel Senato dei notabili delle Gallie. Spiegò ai senatori che Atene e Sparta erano decadute proprio per la loro chiusura: Cos'altro fu rovinoso per Spartani e Ateniesi, benché fossero potenti sotto il profilo militare, se non il fatto che tenevano lontani i vinti, trattandoli da stranieri? Invece il nostro fondatore, Romolo, fu così saggio da considerare moltissimi popoli nello stesso giorno prima nemici, poi concittadini. Un tema che del resto era presente già in Cicerone. E Claudio aveva un'idea chiara dei vantaggi: Ora, mischiatisi a noi per costumi, attività, parentele, ci portino anche il loro oro e le loro ricchezze, piuttosto che, separati da noi, se le tengano per loro. Poi nel 212 d.C. Caracalla allargò la cittadinanza a tutto l'impero, completando questo percorso. Anche se ancora si discute dell'entità del provvedimento».
Come riuscivano i romani ad assimilare le altre popolazioni?
«Assimilare? I romani, per esempio con i greci, più che altro si fanno assimilare. Prendono a modello lingua e cultura. Non c'è romano colto che non cerchi di essere un po' greco. Sono i romani ad essere ellenizzati. I romani incorporavano ciò che ritenevano bello e utile delle altre culture e, quando possibile, le loro élite, come nel caso dei Galli di Claudio».
Ma non è andata così con tutti. I romani non cercano di essere Galli. Semmai sono i Galli che cercano di essere romani. O no?
«Certo, in quel caso l'ago della bilancia era spostato verso Roma. Ma è sbagliato pensare a popolazioni barbare che si romanizzano. Resta uno scambio, fondamentalmente. Mentre i romani modellavano, loro ne venivano anche modellati. Pensi a tutti quegli imperatori di origine africana o ispanica. Sant'Agostino è africano. La forza dei romani non è assimilare, è la capacità di essere sincretici».
Non è comunque un processo senza scossoni: i romani prima di concedere la cittadinanza agli italici passano da una tremenda guerra, tra il 91 e l'88 a.C..
«L'abbiamo detto prima: nessuno fa regali. Il tema della cittadinanza ai latini era una questione rilevante già all'epoca di Caio Gracco. Poi si giunse al conflitto e i latini arrivarono a fondare persino uno Stato parallelo, con una sua capitale a Corfinium. Silla condusse una campagna spietata contro gli italici e la vinse. Ma ebbe la saggezza di capire che, una volta vinto, era necessario concedere la cittadinanza. La forza non poteva bastare. Con la cittadinanza si otteneva il consenso, che vale più della mera supremazia».
Ma allora qual era il cemento di questa struttura così composita e non «assimilata»?
«Ma proprio la cittadinanza. La cittadinanza dava dei diritti. E quei diritti erano preziosi, significavano potere politico. Chiunque voleva averli. E questo ingresso nel mondo politico, nella sfera della decisione, era prezioso. Ad un certo punto per contare a Roma divenne fondamentale avere una base politica fuori da Roma».
Il sistema, non dico più la parola assimilazione, di sincretismo dei romani a un certo punto non ha più funzionato. Intendo con i «barbari», anche se adesso c'è chi li fa passare per migranti...
«Roma, in senso ampio, non è davvero caduta nel 476. Ci scordiamo che un pezzo di Impero è durato ancora un migliaio di anni. E poi tenga presente che anche i nemici di Roma non sempre erano considerabili così alieni dal mondo romano. Arminio che distrusse le legioni romane nella selva di Teutoburgo è un germano, ma è un germano che combatte da anni per i romani. Persino, secoli prima, Vercingetorige aveva combattuto con i romani. Bisogna evitare le semplificazioni».
Però ci sono dei popoli che, avendo una religiosità forte (mi vengono in mente gli ebrei) questo sincretismo lo rifiutano.
«Questo è più vero. Ma anche qui bisogna fare dei distinguo. Gli ebrei, nelle guerre civili, sono tra i migliori alleati di Cesare perché lo vedono come un liberatore da Pompeo. Ci sarà una guardia ebraica a vegliare la pira funebre di Cesare. Come fu eccellente il rapporto tra Augusto ed Erode. Certo poi gli Zeloti, una frangia radicale dell'ebraismo, opporranno una resistenza fortissima a Roma. Ma anche tra di loro ci sarà chi, come lo storico Flavio Giuseppe, poi tornerà dalla parte dei romani. Credo che si possa dire che abbiano fatto un'opposizione più rilevante i cristiani».
Sempre un monoteismo con delle caratteristiche forti e non riducibile al compromesso.
«Anche in quel caso però si trova un percorso che alla fine porterà il cristianesimo direttamente ai vertici dell'impero. Il risultato è un monoteismo che incorpora caratteri della filosofia greca (e quindi romana) e che con il culto dei santi viene incontro al mondo plurale delle divinità romane. Esattamente come il culto degli dei romani era plurimo, ma aveva al suo interno un senso del divino molto unitario».
Ma il mondo attuale, nell'eventualità che vada verso un processo di migrazioni, cosa...
«Ci andrà, ci andrà, è un percorso inevitabile. Di certo non sarà una passeggiata, ma non è un processo che si possa fermare. Semmai è un processo che si può capire e cercare di governare».
Ecco, dicevo, ma allora dall'antichità possiamo trarre delle
idee?«In parte già si fa. In Inghilterra ad esempio hanno aperto le elezioni locali agli immigrati. La cittadinanza, magari per gradi, resta uno strumento prezioso. In questo senso il modello romano resta da studiare».
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.