
Nuova stangata in arrivo: la pasta italiana è sotto attacco. Dal 2026 quella destinata al mercato statunitense potrebbe subire un’imposizione tariffaria complessiva vicina al 107 per cento. Ai dazi già esistenti, pari al 15 per cento, si aggiungerebbe un ulteriore 91,74 per cento a seguito di una recente indagine del Dipartimento del Commercio degli Stati Uniti. La notizia ha generato preoccupazione tra i produttori italiani, che hanno contestato il metodo seguito nell’inchiesta e ora temono pesanti ripercussioni sul settore.
Come riportato dal Corriere della Sera, l’iniziativa americana nasce da una procedura di revisione periodica delle importazioni, richiesta da alcune aziende locali concorrenti, alcune delle quali controllate da gruppi italiani. In base a questo meccanismo, il Dipartimento del Commercio seleziona due imprese – definite “mandatory respondents” – su cui condurre un’analisi approfondita. In questa occasione, l’esame ha riguardato La Molisana e Garofalo. Nel documento ufficiale pubblicato dall’amministrazione statunitense si legge: “Abbiamo determinato in via preliminare che per il periodo compreso tra il 1° luglio 2023 e il 30 giugno 2024 sussistono i seguenti margini di dumping medi ponderati stimati: La Molisana Spa 91,74%, Pastificio Lucio Garofalo Spa 91,74%, società non esaminate individualmente 91,74%”. L’addebito dunque non riguarda solo le due aziende analizzate, ma si estende anche ad altri esportatori nostrani, per i quali non è stata svolta alcuna valutazione diretta. Questo punto rappresenta uno degli aspetti più controversi della vicenda.
Il dazio aggiuntivo del 91,74 per cento verrebbe applicato a tutti gli esportatori citati nell’indagine: oltre a La Molisana e Garofalo, nel mirino Agritalia, Aldino, Antiche Tradizioni Di Gragnano, Barilla, Gruppo Milo, Pastificio Artigiano Cav. Giuseppe Cocco, Pastificio Chiavenna, Pastificio Liguori, Pastificio Della Forma, Pastificio Sgambaro, Pastificio Tamma e Rummo. L’impatto varierà in base al modello produttivo delle singole aziende: quelle che hanno già stabilimenti negli Stati Uniti – come Barilla – potrebbero essere parzialmente protette, mentre chi esporta interamente dall’Italia rischia forti penalizzazioni.
Negli anni passati, revisioni simili si erano concluse con l’imposizione di dazi nulli o molto bassi (fino allo 0,5 per cento). L’attuale misura, invece, rappresenta un significativo inasprimento e viene interpretata da alcuni osservatori come un nuovo capitolo della tensione commerciale tra Europa e Stati Uniti. Luigi Scordamaglia, amministratore delegato di Filiera Italia, ha espresso forte contrarietà rispetto all’impostazione dell’indagine: “Questo approccio, pur formalmente consentito solo come eccezione, si traduce in una distorsione evidente, perché trasforma un dazio punitivo (e sproporzionato), originariamente destinato a due sole aziende, in una sanzione collettiva sulla scorta di una presunzione assurda”. Secondo Scordamaglia, inoltre, la misura favorirebbe indirettamente le aziende che hanno delocalizzato parte della loro produzione sul suolo americano: “Di fatto con questo strumento Trump interviene mettendo un dazio di oltre il 90% sulle nostre esportazioni di pasta negli Usa che verrebbero di fatto bloccate dal 1° gennaio 2026 perché rese non competitive ad unico vantaggio delle imprese anche italiane, oltre che di altri paesi, che hanno iniziato a delocalizzare la produzione negli Stati Uniti e che non sempre indicano con sufficiente chiarezza in etichetta la loro produzione non italiana”.
Il dazio aggiuntivo è attualmente in fase preliminare e potrebbe essere confermato, modificato o ritirato nelle prossime settimane, prima di entrare in vigore nel gennaio del 2026.
I produttori italiani e le associazioni di categoria stanno valutando le possibili azioni da intraprendere per tutelare il comparto, che rischia di subire gravi conseguenze economiche se la misura dovesse essere mantenuta nei termini attuali.