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"È il momento giusto per togliere i risparmi dai conti correnti"

Intervista a Gianni Ferrari, di Credem Euromobiliare. "Dopo il 2022 annus horribilis, il 2023 sarà buono per investire bilanciati, ma senza ansia"

"È il momento giusto per togliere i risparmi dai conti correnti"

Il 2023, almeno in Piazza Affari, è partito a razzo: +10%. Gianni Ferrari, consulente finanziario per Credem Euromobiliare private banking: cosa dobbiamo aspettarci sui mercati quest’anno?

«Se, come dice la presidente della Bce Christine Lagarde, viviamo “una crisi permanente”, va da sé che le previsioni sul futuro sono scritte nella sabbia. Detto questo credo che il 2023 debba essere affrontato come un anno di transizione tra l’orribile 2022 e il buon 2024 che auspichiamo. Quindi occorrerà gestire con pazienza i propri portafogli senza avere l’ansia di voler recuperare tutto e subito. È difficile ipotizzare una risalita rapida come accadde con il Covid nel 2020».

L’orribile 2022: ci dica qualche numero per sintetizzare come si è chiuso.

«Proprio un annus horribilis. Non tanto perché gli indici azionari abbiano perso il 20 o il 30%: solo due anni fa col Covid si arrivò a -40% in un sol mese. Quanto per il fatto che le obbligazioni e i titoli di Stato, da molti considerati la parte tranquilla del portafoglio, abbiano prodotto perdite a doppia cifra. Per esempio, il Btp a 10 anni ha perso oltre il 20% cedole comprese».

Ora il tema è l'inflazione.

Due anni fa, sul Giornale, lei fu tra i primi a prevederla.

Ma è vero che le banche centrali hanno sbagliato tutto?

«La reazione al Covid ha prodotto non solo un’enorme immissione di denaro nel sistema da parte di governi e banche centrali, ma anche un inizio di deglobalizzazione, poi accelerato dalla guerra in Ucraina. Per il concorso di questi due motivi ritenevo possibile il ritorno dell’inflazione, ma sinceramente non me l’aspettavo a questi livelli. Quanto al comportamento delle banche centrali e in particolar modo della Fed, non mi iscrivo al partito di coloro che la criticano aspramente sostenendo (oltretutto col senno del poi) che doveva intervenire già nel 2021. Infatti va considerato che anche allora la coperta era corta e la Fed ha preferito definire “transitoria” l’inflazione piuttosto che aumentare i tassi con il rischio di sgambettare la ripresa che era appena ripartita dopo l’incubo Covid».

Poi però l'inflazione è scappata di mano.

«Vero, ma mi sembra che Powell stia agendo secondo i canoni: in America non hanno problemi energetici, l'occupazione è tuttora ai massimi e in questi anni i salari sono cresciuti. È ipotizzabile che il forte rialzo dei tassi, seguito da una recessione leggera, riporterà l’inflazione Usa sotto controllo».

E in Europa?

«Qui si sta applicando la stessa terapia, ma a un paziente che non ha lo stesso fisico».

Come devono essere impostati i portafogli per combattere l'inflazione?

«Sicuramente non lasciando 1.840 miliardi su conti correnti infruttiferi come stanno facendo gli italiani. Certo, molti diranno che è meglio lasciarli lì che perderli sui mercati, come accaduto nel 2022. Ma proprio a causa dei forti ribassi dello scorso anno oggi ha senso impostare portafogli bilanciati».

Meglio l’azionario o l’obbligazionario?

«Da una parte le obbligazioni, sia governative che societarie di buona qualità, garantiscono rendimenti ormai largamente positivi, cosa che non accadeva da anni. Dall'altra, se è vero che il binomio “inflazione + recessione” non crea un ambiente ideale per l’azionario, è anche vero che il mercato dell'equity va avvicinato un po’ alla volta e in maniera costruttiva proprio nei momenti come questi, quando prevale la paura. Per questo penso a portafogli bilanciati con una quota di azionario, più o meno consistente a seconda della propensione al rischio di ciascun investitore».

Meglio Usa o Eurolandia?

«Da 15 anni non c’è storia: vince Wall Street. Però mai smettere di osservare il mercato e i grafici ci dicono che dall’estate in poi l’indice Eurostoxx50 e pure il nostro Ftsemib40 hanno fatto meglio degli indici americani. Ciò è dovuto alla maggiore componente “value” e finanziaria di questi indici.

E finché i tassi di interesse non smettono di salire questo vantaggio competitivo potrebbe anche protrarsi».

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