Il clan di Chicago dà l’assalto a Washington

Questi sono gli altri Chicago boys. Clan, l’hanno chiamato. Un blocco, un’idea, un’anima, un progetto, una lobby. Barack Obama si trascina una città, la sua: amici e consulenti, esperti e collaboratori. Tutti di Chicago, tutti figli del suo vento e della sua politica. Second city, l’ha sempre definita l’America: mai capace di superare New York, vittima di un complesso, troppo impegnata a lavorare e mai a godere. E ora? La geografia elettorale racconta l’arrivo di questa tribù che siede accanto e dietro al suo capo per prendersi Washington e la Casa Bianca.
Con Obama arrivano loro, quelli del gruppo. Arriva David Axelrod, lo stratega della campagna elettorale del candidato democratico, uno nato a New York e cresciuto a Chicago, dove ha raccontato la politica cittadina per anni sul Chicago Tribune e poi s’è sganciato per andare dall’altra parte, cioè dietro, a fare il suggeritore, la mente, il consulente. È così che ha conosciuto David Plouffe, che oggi è l’altro leader dello staff di Obama. Campaign manager, cioè la faccia oltre che la testa: l’inventore della strategia dei piccoli finanziatori e dei piccoli finanziamenti. Comandano, i due David. Hanno voluto che il quartier generale del team fosse mantenuto sempre lì, a Chicago. Un palazzo attorno al quale ruotano personaggi famosi e meno famosi, attivisti, giovani, vecchi esponenti democratici. Tutti tra le strade di Windy City, perché questa storia ruota si muove dentro la città, gira intorno ad Hyde Park, ai sermoni di Saul Alinsky che formarono l’inizio della carriera politica di Barack e anche di tutti quelli che adesso sono con lui.
Qui c’entra anche la famiglia Daley, cioè quella dei Richard padre e figlio che si sono trasmessi il potere per linea dinastica e comandano al Comune da più di cinquant’anni. Democratici, ovviamente. Rieletti sempre e sempre con percentuali da paura. Richard «grande» fu eletto nel ’55 e rimase sindaco fino al 1976. Fu sconfitto a un certo punto, sì. Dalla morte, non da un avversario. Richard «piccolo» è arrivato nel 1989 e non se ne è mai più andato: è lì, seduto sulla sua poltrona della city hall, rieletto l’ultima volta nel 2005. La città lo adora e però lo prende un po’ in giro: l’hanno anche chiamato il Boss per la tendenza a controllare tutto. Chi vuol fare politica a Chicago deve passare da lui, per forza. Dicono che Obama non l’abbia fatto, un po’ per fortuna e un po’ per capacità. Ma quelli che adesso sono con lui sì. Tipo Valerie Jarrett che non ha ruoli nello staff di Barack, ma siccome è stata capo della Borsa di Chicago è una delle donne più ascoltate dal candidato alla presidenza. Con lei anche Penny Pritzker, l’erede dei signori della catena alberghiera Hyatt e oggi tesoriere della campagna elettorale obamiana. Nata a Chicago, cresciuta a Chicago, residente a Chicago. Un’altra del clan. Come Austan Goolsbee, economista dell’università di Chicago e consigliere dello staff di Obama per le questioni economiche. È amico di Robert Gibbs, l’uomo delle comunicazioni di Barack, una specie di voce e anche una specie di parafulmine, quello che cura i rapporti con la stampa, quello che nelle riunioni consiglia qualche azzardo. A Filadelfia, per esempio, quando Obama parlò davanti ai finanziatori della Pennsylvania. Era ancora in gara con Hillary Clinton. Se ne uscì così: «Se portano il coltello, noi porteremo la pistola». Era una citazione di Sean Connery degli Intoccabili, il film che raccontò gli uomini che sconfissero Al Capone. Chicago, quindi. Chicago, ancora. Ci sono cartelli, slogan, ricordi. Nelle stanze del quartier generale di Obama c’è un foglio con le citazioni e quella che piace di più è dell’attrice francese Sarah Bernhardt: «Adoro Chicago, è il polso dell’America».
È l’orgoglio dell’appartenenza: la città è mania, madre, ispirazione. Kennedy aveva i bostoniani, Bush i texani, Obama si porta a spasso chicagoland. Sempre così? Forse qui è di più. A Washington c’è già un pezzo di Windy City che comanda: Hillary Clinton sarà stata sconfitta, ma resterà il personaggio più influente del Senato. Lei è nata lì, in Illinois ed è lì che s’è formata politicamente. Stesso percorso del clan, solo qualche anno prima. E alla Camera c’è Rahm Emanuel, capogruppo democratico, mente della vittoria alle elezioni di metà mandato nel 2006 per il partito di Obama. Ex clintoniano, amico di Axelrod. Di Chicago anche lui. È una rete.

Alleati, amici, complici: una scuola politica che ha allevato una generazione di militanti e candidati, strateghi e consulenti. Hanno un uomo che può portarli con sé, al centro del potere. Vogliono la Casa Bianca, non Washington: c’è poco vento.

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