Un omicidio brutale, ma senza aggravanti. Non un cranio sfondato, né la vittima legata mani e piedi, non il corpo su cui lassassino ha infierito, e nemmeno il furto successivo al delitto. Sono altri i criteri, altre le regole in campo, se la mano che uccide è quella di un clandestino. Valgono le attenuanti, vale «il suo stato di emarginazione sociale». Così stabilisce la Cassazione, che conferma una sentenza della corte dappello di Milano. Non 30 anni di reclusione - come deciso in primo grado -, ma 17 anni e 4 mesi. Perché Marion Neagu, il romeno 25enne che nel 2003 aveva ucciso un imprenditore lombardo, viveva in uno stato «di arretratezza culturale conseguente al suo stato» di migrante.
La prima sezione penale della suprema Corte, dunque, dichiara inammissibile (sentenza numero 957 di ieri) il ricorso presentato dalla procura generale di Milano, che si era opposta al riconoscimento delle attenuanti generiche accordate a Neagu. Il romeno, reo confesso, aveva ucciso limprenditore Carlo Ferrua - con cui aveva iniziato una relazione omosessuale - colpendolo violentemente alla testa con una pesante bottiglia di champagne, ne aveva legato il corpo, rimanendo poi almeno unora nellappartamento a guardare lagonia della vittima. Il tempo necessario per assistere alla sua morte. Un tempo utile, infine, per derubarlo. Perché questo è il movente, una rapina. Un televisore al plasma, un ciondolo, un computer portatile, unagenda elettronica. Tutti oggetti di cui Neagu venne trovato in possesso al momento dellarresto, pochi giorni dopo il delitto, nella sua casa alla stazione di Porta Nuova a Torino. Era il 21 novembre di quattro anni fa. Quarantotto ore prima, lomicidio.
Il 15 febbraio dello scorso anno, il giudice per le udienze preliminari del tribunale di Milano Antonella Brambilla lo aveva condannato a 30 anni di reclusione con rito abbreviato. Il massimo della pena. Poi, nel marzo 2006, la sentenza della corte dassise dAppello: 17 anni e 4 mesi. Nel calcolo, i giudici avevano ritenuto di non dover conteggiare l«aggravante della crudeltà», proprio perché Neagu - per altro già colpito da ordine di espulsione al momento del delitto - viveva in uno stato di «imbarbarimento» dovuto alla sua condizione di irregolare. Una stato di cose che - per i magistrati di secondo grado, così come per quelli del Palazzaccio - se non giustifica almeno sfuma la gravità degli eventi.
Una sentenza contro cui era ricorso il pg di Milano, secondo cui la Corte territoriale era venuta meno allobbligo di indicare le ragioni «per le quali si era ritenuto di concedere le attenuanti generiche», e convinto invece che «data lindifferenza dellomicida allagonia della vittima», la «brutalità dellaggressione», e considerando che «aveva inutilmente infierito sul corpo della vittima, ormai ridotto allimpotenza», non ci fossero affatto le circostanze perché venisse riconosciuta alcuna attenuante.
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