Clima, il coraggio del nucleare

Il tema più controverso del G8 che si apre oggi a Gleneagles saranno le misure da adottare contro il cambiamento del clima. Tanto per cambiare, sarà ancora Europa contro America, con la prima che chiede a Bush di aderire finalmente ai protocolli di Kyoto e la seconda che - sulla base di studi approfonditi - mette addirittura in dubbio i fondamenti scientifici della teoria dei gas serra.
Le previsioni sono che, al massimo, ne uscirà un compromesso di basso profilo. Eppure, se avessero la lungimiranza di guardare al di là del contingente, gli otto grandi potrebbero trovare su questo argomento un terreno d'intesa: il rilancio in grande stile dell'energia nucleare, l'unica ad essere insieme conveniente e pulita, l'unica in grado di contrastare nello stesso tempo il caro-petrolio e il (presunto) mutamento climatico.
Le premesse per un accordo su queste linee ci sarebbero tutte. Appena due settimane fa, oltre trent'anni dopo la costruzione dell'ultimo impianto atomico americano, Bush ha pronunciato queste testuali parole: «È tempo di ricominciare a costruire centrali nucleari nel nostro Paese». Il presidente, erede di una famiglia di petrolieri di uno Stato - il Texas - che sull'oro nero ha costruito le sue fortune - è sicuramente conscio che l'era del petrolio facile sta per finire. Negli ultimi tre anni, il prezzo del barile è schizzato da 18 agli attuali 60 dollari al barile e - con buona pace di certe previsioni un po' facilone - non ribassa neppure quando l'Opec decide di aumentare la produzione. La ragione è semplice: tra il 2004 e il 2008, si toccherà il cosiddetto picco di Hubbert, cioè il momento in cui la produzione petrolifera mondiale non sarà più in grado di far fronte a una domanda che, sotto la spinta di Cina e India, aumenta nella misura di due milioni di barili l'anno.
Pertanto il problema delle fonti alternative (o, in questo caso, integrative) esiste anche per chi, come Bush, non è troppo convinto che i gas provocati dalla combustione degli idrocarburi siano davvero responsabili per i mali della terra, e ritiene che le misure prescritte dai protocolli di Kyoto siano comunque troppo costose per essere tollerate dalle economie occidentali. Ma, al contrario di molti altri uomini politici, il presidente americano è persuaso che le cosiddette energie rinnovabili, eolica e fotovoltaica, sono destinate a rimanere marginali. Gli europei, dal canto loro, non potrebbero che accogliere con favore un ritorno in grande stile degli Usa al nucleare. La Francia è, da sempre, il maggiore produttore mondiale di questo tipo di energia, che vende con enormi profitti a mezza Europa, e nei giorni scorsi ha brindato unanime alla decisione dei maggiori Paesi industrializzati di costruire in Provenza la prima centrale sperimentale a fusione, una tecnologia rivoluzionaria che tra una generazione potrebbe fornire all'umanità quantità pressoché illimitate di energia pulita.
Tony Blair, a sua volta, ha parlato a varie riprese della necessità di rinnovare un parco centrali britannico ormai un po' invecchiato. Sulla stessa linea sono il Giappone e la Russia. Solo la Germania aveva deciso sette anni fa, sotto la spinta dei verdi, di chiudere progressivamente i suoi impianti, ma Schroeder ha sempre rinviato l'attuazione del piano e oggi, comunque, non ha più la forza di opporsi a una tendenza che, grazie anche ai continui progressi tecnici, sta avanzando ovunque, Cina e India comprese.
Resta l'Italia, uscita dal nucleare in seguito all'autolesionistico referendum del 1987 e - come al solito - esitante a cambiare finalmente rotta. Alcuni mesi fa il presidente Berlusconi ha invitato a «ripensare» quella improvvida decisione, incontrando subito il fuoco di sbarramento delle opposizioni (con qualche lodevole eccezione) e scarso entusiasmo anche nella coalizione di centro-destra. Eppure, stando a due distinti sondaggi dell'Eurobarometro e di Renato Mannheimer, ormai 55 italiani su cento si sono resi conto che - a medio e lungo termine - solo il nucleare potrà salvarci dal caro-energia che sta minando la competitività di molte nostre industrie e sono di conseguenza pronti al grande salto. Certo, per un Paese che è stato costretto a rivolgersi all'estero perfino per lo smaltimento delle sue vecchie scorie, i problemi non mancherebbero.
Ma proprio un rilancio dell'energia atomica da parte del G8, che ci mettesse in un certo senso in un angolo e facesse vedere anche ai più ottusi avversari del nucleare che - ogni tanto - bisogna ammettere i propri errori, potrebbe portare anche da noi a una svolta.

Una svolta se vogliamo tardiva, che richiederebbe grandi risorse, ma di cui i nostri figli ci sarebbero grati.

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