In clinica 80 pedofili: «Curiamo la loro mente per evitare altri crimini»

Sesto reparto del carcere di Bollate. Dietro le sbarre sedici esperti lavorano per offrire una possibilità di recupero a quei detenuti rinnegati dagli stessi carcerati, quelli che ogni giorno rischiano di essere picchiati, perché «infami». Dal settembre 2005 è nata l’Unità di trattamento intensificato, il primo tentativo nelle carceri italiane di trattamento e presa in cura di pedofili, finora già un’ottantina. «Il nostro obiettivo - spiega il criminologo Paolo Giulini - è il recupero della persona in modo da evitare che, una volta scontata la pena, non cada di nuovo negli stessi errori». Per combattere la recidiva, l’equipe di Giulini si affida ad un trattamento psico-socio-educativo.
Lunedì mattina, i 19 detenuti che quest’anno sono stati selezionati per aderire al progetto, partecipano al gruppo sul lavoro, il martedì a quello sulle abilità sociali. Per ogni giorno della settimana, un gruppo diverso. Mercoledì quello più impegnativo. La mattina i detenuti sanno che dovranno affrontare l’impegno maggiore: il gruppo di lavoro sulla recidiva. «Ci impegniamo - spiega lo psicologo Lorenzo Pivanti - sull’individuazione dei precursori dell’atto di violenza». Alla base la teoria del ciclo dell’aggressione, cioè la convinzione che ogni evento scatena delle emozioni. «Ecco, noi vogliamo che nella mente del pedofilo scattino dei campanelli d’allarme quando avverte determinate emozioni. Dei campanelli che lo inducano a chiedere aiuto, anziché tornare a delinquere».
L’onorevole Daniela Santanchè non vuole sentirne parlare. Lei non ci crede: «Secondo la mia opinione personale l’unica soluzione è la castrazione chimica». Lo ha detto ieri mattina, durante la presentazione del libro «Una ferita aperta», scritto a quattro mani dagli psicoterapeuti Renzo Rocca e Giorgio Stendoro. Il protagonista è Gianni, un ragazzo di 13 anni, vittima delle violenze di Paolo, improvvisato compagno della madre Elisabetta. «Con questo romanzo - raccontano gli autori - ci siamo proposti di catalizzare l’attenzione dei lettori su un problema che spesso in pochi vogliono vedere».
«Il pedofilo è recidivo nel 98 per cento dei casi - ha precisato l’onorevole di La Destra -. Abbandoniamo il buonismo, dobbiamo smetterla di essere indulgenti e di fare gli struzzi: su questo tema bisogna essere spietati e un po’ crudeli». Secca la risposta di don Gino Rigoldi, il presidente di Comunità Nuova: «Non è con la vendetta che si risolvono i problemi. Non si diventa pedofili ad un certo punto, ma è una cosa che comincia molto prima, dall’infanzia». Non vuole essere tacciato di buonismo don Rigoldi, però è convinto che «i pedofili vadano curati». E la castrazione chimica? «Questa non è il modo giusto. E poi diversi studi dimostrano che questo intervento li rende più aggressivi e quindi ancora pericolosi».


Secondo Giulini il problema più grande riguarda i pedofili che negano di aver commesso il reato. «In tanti si dicono innocenti, vittime di complotti. Ma anche questo aspetto si può superare: quest’anno su nove con problemi di negazione ne sono rimasti solo tre».

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