COCTEAU La sostenibile leggerezza dell’essere

Tutta la cultura francese deve molto a questo caleidoscopico intellettuale

Nel 1912, a Parigi, André Gide riceve un libretto di poesie di un giovane che ha incontrato tempo prima in un salotto. Le liriche si intitolano Danza di Sofocle, sono modeste, ma il giovane è straordinariamente attraente. Ha 23 anni, è amico di Proust e Daudet, conosce D’Annunzio. Si chiama Jean Cocteau. Sua madre, figlia di un’attrice, gli ha trasmesso precocemente la passione per il teatro. Suo padre gli ha instillato l’amore per il disegno, ma lo ha lasciato orfano troppo presto: si è ucciso quando il bambino aveva nove anni. Jean frequenta le scuole con risultati sconfortanti. Al prestigioso liceo Condorcet è bocciato più volte, finché, a diciotto anni, si ritira. Ma i salotti di Parigi se lo contendono: ha una conversazione elegante come il suo abbigliamento, una profondità mascherata da frivolezza e una grazia adolescenziale che gli rimarrà tutta la vita.
Di fronte alla Danza di Sofocle Gide esita a lungo. Poi scrive a Cocteau che lo trova «prodigiosamente, pericolosamente dotato» (sembra un complimento, ma non lo è) e che non si può dare un giudizio sulla Danza, se il danzatore è così affascinante. Anni dopo, Gide diventerà più severo. Quando, nel 1919, sulla Nouvelle Revue Française, si troverà a recensire un altro volumetto di Cocteau, Il gallo e l’Arlecchino, un libro di aforismi che invocano Ingres e la semplicità classica ma sono segnati da una frammentarietà ancora impressionista, firmerà una stroncatura travestita da elogio. «Non dico - scrive - che i vostri aforismi non siano sinceri. Dico che mentite sinceramente a voi stesso».
Parliamo di Cocteau in occasione della mostra «Cocteau, il poeta, il testimone, l’impostore», in corso alla Fondazione Magnani-Rocca di Traversetolo (Parma). Ma dell’intellettuale francese, «maestro del profondo lieve», come acutamente lo definisce Marco Vallora in catalogo, si potrebbe parlare per giorni. Musicista, scrittore, pittore, scultore, critico d’arte, uomo di teatro e di cinema, il tutto con un’insopprimibile vocazione alla leggerezza e al gioco, Cocteau ha una personalità caleidoscopica. Nel 1916 conosce Picasso, con cui nel 1917 viaggia in Italia. A Roma termina Parade, un testo teatrale musicato da Satie, interpretato da Diaghilev, per cui Picasso crea scene, costumi e sipario. L’opera, nonostante cotanto senno, ottiene un vasto insuccesso.
Nel 1918 conosce invece Raymond Radiguet. Cocteau ha ormai trent’anni, l’altro la metà. Tra i due nasce una passione tempestosa che si conclude tragicamente nel 1923, quando Radiguet muore di tifo a 20 anni e Cocteau si rifugia nell’oppio. Ma per raccontare, sia pure senza pretese di completezza, la sua vita bisognerebbe parlare anche del suo ruolo nel «Ritorno all’ordine»: un movimento di cui rende famoso il nome (Le Rappel à l’ordre si intitola il suo celebre testo del 1926), ma a cui appartiene solo in parte. Bisognerebbe parlare della sua amicizia con Maritain; del sodalizio con Strawinsky; della sua influenza sul cinema, in particolare su Truffaut; delle sue complesse opinioni politiche, che lo portano a partecipare alla Resistenza francese, anche se nel suo diario, nel ’42, aveva definito Hitler «un poeta».
La mostra parmense si articola in tre sezioni. La prima comprende grafiche e disegni, segnati tutti da una volatile leggerezza del segno. Sono lavori curiosi, che rivelano come Cocteau, soprattutto, abbia voluto giocare con linee e colori. «Un capolavoro è una partita a scacchi vinta con uno scacco matto» scrive. Nelle sue opere lo scacco matto non c’è mai, ma non si può non ammirarne la vitalità e l’arguzia. La seconda sezione comprende i compagni di strada di Cocteau, con opere di Modigliani, Severini, Soffici, De Chirico, Savinio. Vengono anche esposti alcuni capolavori della Fondazione Magnani-Rocca (Tiziano, Rubens, Van Dyck, Tiepolo, Canova, Goya), letti attraverso le parole o le riflessioni, non sempre memorabili per la verità, di Cocteau stesso.

Presso l’Archivio di Stato di Parma, infine, ha luogo un interessante «Omaggio a Cocteau», con opere di una quarantina di artisti italiani contemporanei, da Pozzati a Ontani, da Notari a Patella, da Cascavilla a Di Stasio, da Ceccobelli a Isgrò, tutte ispirate all’intellettuale francese.
LE MOSTRE
Jean Cocteau. Il poeta,

il testimone, l’impostore, Fondazione Magnani-Rocca

di Traversetolo (Parma), fino al 27 novembre. Omaggio a Cocteau, Archivio di Stato di Parma, fino al 31 ottobre.

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