Cogne, ecco tutti i misteri che la sentenza non risolve

Sei anni e sei mesi dopo l’uccisione di Samuele la sentenza della Cassazione sigilla la chiusura totale del giallo di Cogne, attribuendo ad Annamaria Franzoni la qualifica criminale di «madre assassina per futili motivi, fredda, lucida, manipolatrice, con grandi capacità di alterazione della scena, di depistaggio, di recitazione e di manipolazione».
Il ragionamento dei giudici è stato pressappoco il seguente: «L’accusa ha argomenti ed elementi molto forti che la difesa non è stata in grado di confutare. Le piste alternative indicate dalla difesa sono impercorribili perché fallaci. Esiste una perizia che dice che la Franzoni era dentro il pigiama che si sporcava del sangue di Samuele mentre il bambino veniva ucciso».
Ebbene, ritengo che il ragionamento all’apparenza sembra molto forte, ma, in realtà e intimamente, risulta essere debole perché non fornisce valida soluzione ai numerosi quesiti criminologici e investigativi del caso, perché non tiene conto delle numerose contraddizioni emerse sinora, perché non tiene conto di elementi oggettivi e cronologici che invece doveva valutare. Primo motivo: la sentenza avrebbe dovuto individuare e definire lo stato psichico della Franzoni che al momento del figlicidio doveva per forza essere alterato e non «lucido»: stato psichico alterato sicuramente originato da una psicopatologia, perché nessuna madre sana uccide il figlioletto. Secondo motivo: la sentenza dimentica che la Franzoni è stata sottoposta a perizia psichiatrica e che non è emersa alcuna psicopatologia. Terzo motivo: mentre il giudice di primo grado afferma che la Franzoni abbia potuto nascondere l’arma del delitto sulla propria persona, la Cassazione dice che «forse» l’ha lavata e poi rimessa a posto: come mai all’interno della casa non è stato rinvenuto alcun oggetto compatibile con le 17 ferite riscontrate sul capo di Samuele?
Altri motivi della debolezza della «sentenza finale»: non vi sono tracce della Franzoni e sulla Franzoni dell’avvenuto crimine e tanto meno del lavaggio dal sangue (capelli sporchi di sangue, residui nel lavandino e nei tubi di scarico, indumenti intimi o di altro tipo sporchi di sangue); non vi è alcuna traccia del delitto che colleghi la Franzoni al delitto stesso; i tempi esecutivi e di spostamento della Franzoni non collimano con l’impianto accusatorio accettato in toto dalla sentenza; alle 8.32 il piccolo Samuele dava ancora segni di vitalità, situazione impossibile se fosse stato aggredito come vuole la sentenza fra le ore 8.10 e le 8.15 dalla Franzoni; che l’assassino indossasse il pigiama e calzasse gli zoccoli è solo una pia illusione mascherata da assioma che nessuna perizia sinora ha dimostrato; l’assunto «solo lei poteva uccidere il bambino» è in realtà solo una congettura.
Una sentenza definitiva e un’indagine durata anni che non risolvono nulla di quello che logicamente e scientificamente avrebbero dovuto risolvere deludono profondamente, a prescindere se la Franzoni sia colpevole o innocente.

Ciò, perché il popolo italiano (in nome del quale si pronunciano le sentenze) ha il diritto di sapere con totale certezza se la «mamma di Cogne» ci sta prendendo in giro da sei anni e sei mesi, oppure, se è la vittima di uno Stato che si affida a specialisti dell’indagine i quali, invece di investigare segretamente e verso tutte le direzioni, preferiscono le fiction mass mediatiche e le piste più facili ed apparenti. Tutto questo … a prescindere se «assassina sì… assassina no»!
* Criminologo

(www.detcrime.com)

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