COINCIDENZE DELL’11 MARZO

Breve bollettino per gli storici del futuro ma anche per gli elettori del 9 aprile. Sappiano gli storici (e anche gli elettori) che un mese prima di votare, l’11 marzo del 2006, squadristi e picchiatori misero a ferro e fuoco Milano, il cui grande giornale aveva da poco annunciato di sostenere la coalizione in cui i picchiatori erano determinanti. Nel frattempo, alcuni snipers, ovvero tiratori scelti dalla caratteristica toga, vuotavano ad uno ad uno i caricatori in cui avevano compresso munizioni giudiziarie accumulate con pazienza e tenute sotto chiave. Fu così che, lo stesso giorno in cui a Milano le automobili bruciavano, le vetrine erano sfondate, gli agenti aggrediti e i cittadini terrorizzati, il solito grande giornale aveva appena annunciato che la Procura di Catanzaro indagava per associazione a delinquere: no aspettate, avete capito male: l’associazione per delinquere non riguardava i referenti politici degli squadristi, ma Lorenzo Cesa, segretario dell’Udc. In che cosa consisteva l’ipotetica attività criminale di Cesa? Nel fatto che forse non reinvesta in Calabria tutti i contributi che l’Unione Europea gli aveva dato. La procura catanzarese indagava da un anno e mezzo, ma la notizia, resa nota dai giornali con funzione di cancelleria giudiziaria, fu resa pubblica precisamente ad un mese esatto dalle elezioni, ci potevate rimettere l’orologio come faceva la gente di Koenigsberg quando vedeva passare Immanuel Kant. Ci fu poi la vicenda per cui il ministro della Salute, Storace, fu costretto a dimettersi proprio mentre gli squadristi a Milano davano prova di autogoverno incendiario e terrorista, perché le accuse nei suoi confronti furono tirate a un mese dalle elezioni. I tiratori scelti riempiono il caricatore tutto l’anno, ma sparano sempre guardando il calendario quando si apre la stagione elettorale, quando la preda è appetitosa: è la tecnica del capanno di palude. D’altra parte il giornale della borghesia milanese il 7 marzo aveva appena pubblicato un suo avviso di garanzia al leghista Giancarlo Giorgetti, mediante i verbali di Gianpiero Fiorani, secondo cui costui avrebbe offerto 50 mila euro (una mancia persino offensiva, se vista con gli occhi del Consorte, inteso come consulente) che l’altro avrebbe rifiutato con la seguente frase da ergastolo: «No, grazie. Magari dia una mano alla squadra del Varese che naviga in cattive acque». E poi, rivolgendomi ai posteri (e agli elettori) voglio ricordare la mia esperienza quando, il 20 dicembre 2005, andai a consegnare personalmente alla Procura di Roma un esposto denuncia con cui deferire d’ufficio Prodi, Dini e D’Alema al Tribunale dei ministri, per poi restare per due mesi ad aspettare di sapere, sia pure attraverso il Corriere della Sera, che gli ex presidenti del Consiglio denunciati erano stati iscritti nell’elenco degli indagati e che la denuncia era stata inoltrata al competente Tribunale dei ministri. In compenso, ricordiamo per i posteri (e gli elettori) che la mattina in cui alcuni signori dell’Unipol andarono alla Procura di Roma per querelare Silvio Berlusconi, si notò un curioso fenomeno: quegli aggraziati gentiluomini non avevano ancora raggiunto la stazione dei taxi di Piazzale Clodio, che già le agenzie di stampa annunciavano a caricatori sciolti che Berlusconi era iscritto nel registro degli indagati e deferito al Tribunale dei ministri. Gran Paese, grandi giornali.

Per i posteri, per gli elettori e anche per Paolo Mieli direttore del Corriere, voglio ricordare en passant che quando la stampa anglosassone si schiera per un partito, chi si schiera è l’editore, non il direttore o i giornalisti, i quali seguitano invece a fare il loro mestiere senza veder crollare nel rossore la loro credibilità.
p.guzzanti@mclink.it

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