Roma - Una giornataccia. Iniziata male, proseguita peggio e finita cercando un po’ di relax nel buen retiro sardo di Villa Certosa. Già, perché fin dalla prima mattina a Berlusconi vanno di traverso sia il tè che le solite fette biscottate con il miele visto che a leggere i giornali sembra quasi che il faccia a faccia con Napolitano di venerdì pomeriggio sia finito in rissa con tanto di minaccia del premier ad aizzare la piazza. Falso, perché il Cavaliere è stato sì molto fermo sul merito di quello che non esita a definire «un’aggressione mediatico-giudiziaria senza precedenti» ma ha anche tenuto fede - peraltro non senza una certa fatica - al canovaccio buttato giù con Letta e Alfano che prima di salire al Colle gli avevano propinato un’ora buona di meditazione zen per evitare l’ennesimo scontro. Insomma - è il ragionamento del capo del governo - non si vede la ragione di ricostruzioni giornalistiche tanto colorite, soprattutto in considerazione del fatto che da Palazzo Grazioli non è filtrata una parola una sull’esito del faccia a faccia.
Così, è il solito Letta ad alzare il telefono e porre la questione al Colle: è necessaria una smentita, ma non di Palazzo Chigi bensì dello stesso Quirinale. Smentita che arriva puntuale. Dell’incontro, si legge nella nota del Colle, sono state date sulla stampa libere interpretazioni e in qualche caso anche ricostruzioni fantasiose e bla bla. Con un dettaglio non da poco: è necessario «un sforzo di contenimento delle attuali tensioni» altrimenti «sarebbe a rischio la stessa continuità della legislatura». Traduzione: o il Cavaliere abbassa i toni oppure si torna alla urne. Apriti cielo.
Chi ha occasione di sentire Berlusconi non esita a definirlo «fuori dalla grazia di Dio». In primo luogo perché le ricostruzioni uscite ieri sui giornali - nelle quali si parla di «gelo» tra i due - sarebbero state indirizzate soprattutto dai rumors arrivati dal Colle. Ma soprattutto per quel passaggio sulla fine della legislatura che il premier considera letteralmente «irricevibile». E servono davvero a poco anche i consigli di chi ipotizza che Napolitano parlasse a tutti gli attori dello scontro e non solo al premier (linea peraltro seguita dal Pdl nelle dichiarazioni pubbliche). Niente. Il Cavaliere è furibondo. Perché, dice in privato, «ogni settimana che passa la maggioranza si allarga sempre più e non c’è alcuna ragione per evocare lo scioglimento delle Camere». Il premier, insomma, è convinto che dal Quirinale sia arrivato un vero e proprio colpo basso. Tant’è che l’opposizione cavalca più che mai il «monito» del Colle mentre la maggioranza - almeno nelle prese di posizione ufficiali - è costretta a giocare in difesa. Così il capogruppo del Pdl alla Camera Cicchitto si limita a dire che Berlusconi si sta solo «difendendo con tutte le risorse offerte dalla democrazia» ma è chiaro che pensa ben altro. Come il vicepresidente dei deputati Napoli che però si spinge a chiedersi se davvero la legislatura possa essere a rischio a causa dei «toni» tenuti da un «soggetto extraparlamentare» come la procura di Milano. Insomma, per dirla con i ragionamenti del Cavaliere, «sarebbe bene che Napolitano, anche in qualità di presidente del Csm, si rivolgesse ai magistrati e non solo a me».
Al di là dell’inattesa nota e dell’inevitabile strappo che - seppure sottotraccia - si è consumato in queste ore tra Palazzo Chigi e il Quirinale il punto rischia di essere un altro. Per Berlusconi, infatti, quello di Napolitano non è affatto uno scivolone casuale. Ma la certificazione che il Colle ha deciso di scendere in campo e partecipare attivamente all’accerchiamento in corso in queste ultime settimane. Altrimenti non sarebbe arrivato a evocare una fine della legislatura che non è certo nella disponibilità del Quirinale ma che deve essere necessariamente sancita da un voto parlamentare.
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