Ci sono volute oltre 30 ore di camera di consiglio. Ma alla fine, la sentenza che mette un punto sul fenomeno dell’infiltrazione della ’ndrangheta in Lombardia è arrivata. Alle 8 di ieri sera, nell’aula bunker di Ponte Lambro, il giudice per le udienze preliminari Roberto Arnaldi ha iniziato a leggere il dispositivo con cui sono stati condannati con pene fino a 16 anni di reclusione 110 tra boss e semplici «braccianti» della malavita organizzata, che nella regione ha messo radici, cercato agganci e - soprattutto - fatto affari. Cinque, invece, le assoluzioni (tra cui quella di Antonio Oliverio, ex assessore provinciale di Milano). Quattro infine i «non luogo a procedere»: per tre imputati già giudicati per i medesimi fatti in altro procedimento, e per un detenuto morto nei mesi scorsi. In sostanza, l’impianto accusatorio della Procura ha retto. In aula, dopo la lettura della sentenza, è socppiata la protesta degli imputati, che hanno applaudito ironicamente e insultato toghe (e anche avvocati) al grido di «buffoni». Pasquale Zappia, considerato il «capo dei capi» (condannato a 12 anni), si è sentito male ed è stato portato via in ambulanza.
Nel maxi-procedimento figuravano quasi tutti i capi delle 15 cosiddette «locali» di ’ndrangheta individuate in Lombadia dai pubblici ministeri Ilda Boccassini, Alessandra Dolci e Paolo Storari, titolari delle indagini. Le locali erano coordinate da un organo chiamato «la Lombardia», in cui avevano rivestito un ruolo di vertice, nel corso del tempo, Cosimo Barranca, Carmelo Novella (ucciso il 14 luglio 2008), e - all’epoca degli arresti, avvenuti nel luglio dello scorso anno - , Pasquale Zappia, nominato il 31 agosto 2009 in un vertice filmato dagli investigatori in un centro a Paderno Dugnano intitolato a Falcone e Borsellino. Secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, «la Lombardia» concedeva agli affiliati «cariche» e «doti», secondo gerarchie prestabilite e attraverso cerimonie e rituali tipici dell’associazione mafiosa.
E gli affiliati, alcuni dei quali giudicati in separato giudizio, avrebbero commesso omicidi, reati in materia di armi, droga, estorsione, usura, corruzione, esercizio abusivo di attività finanziaria, riciclaggio, favoreggiamento di latitanza, ricettazione, coercizione elettorale. Il tutto per acquisire appalti pubblici e privati, condizionare le amministrazioni politiche.
Lo scorso luglio, al termine della discussione, la procura aveva chiesto 118 condanne fino a 20 anni di carcere e l’assoluzione dell’ex assessore provinciale Antonio Oliverio. Erano stati chiesti 20 anni per Alessandro Manno, capo di una delle quindici locali; 18 anni per Pasquale Zappia, Vincenzo Mandalari, Pasquale Varca, Vincenzo Rispoli e Cosimo Barranca; 16 anni per Pietro Panetta e Salvatore Strangio.
Nel procedimento si sono costituiti parte civile la Regione Lombardia, i comuni di Pavia, Bollate, Paderno Dugnano, Desio, Seregno e Giussano, il ministero dell’Interno, la presidenza del Consiglio e la Federazione antiracket italiana di Tano Grasso.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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