Il commento: gli anti democratici

Si potrebbe pensare che le «scosse» vaticinate da D’Alema siano una manifestazione d’impazienza della sinistra, poco disposta ad attendere il 2013 per prendersi la rivincita, riappropriarsi del potere - che logora chi non ce l’ha - e liquidare una volta per tutte Silvio Berlusconi. Ma non è così. I progressisti e in particolare D’Alema, che ne è l’esponente giudicato più agile di mente, su quello che riserverà loro il futuro non sono così ottimisti. La sinistra non è allo sbando solo in Italia, ma in tutt’Europa, investita da una crisi di identità dalla quale, per mancanza di strumenti ideologici e culturali appropriati, non sa come uscirne. E nulla lascia credere che le cose possano migliorare nel tempo. Quindi non di impazienza si tratta, ma di sconforto. Stato d’animo che può virare nella disperazione. In fondo, l’interpretazione autentica delle parole di D’Alema col richiamo alle «scosse», è quella che ne ha data la sua intervistatrice, Lucia Annunziata: «Io penso che Massimo, in fondo, abbia riassunto un pensiero abbastanza diffuso nel centrosinistra». Il pensiero di una spallata risolutrice, da assestare ora o mai più, per liberare il campo da colui il quale è tuttora considerato un abusivo, un attore che calcando illegittimamente la scena politica da troppo tempo la toglie a quanti sono convinti d’averne, per diversità antropologica, per superiorità di ideali e di sogni, la privativa. La tentazione se non proprio l’intento sarebbe dunque quello di un colpo di mano col quale scavalcare le istituzioni, il Parlamento, la Presidenza della Repubblica, la legge stessa: una scossa, appunto, che consenta alla sinistra di conquistare Palazzo Chigi senza dover passare per la consultazione popolare, fonte di tanti, di troppi dispiaceri.
C’è un precedente, d’altronde. Finito in sorpresa, ma molto ben congegnato. Tangentopoli. Ovvio che qui non si mette in discussione l’assoluta autonomia di pensiero, azione e giudizio del pool di Mani pulite, il quale si mosse, chi non lo sa, esclusivamente a fine di giustizia. Ma intanto spazzò via dalla scena politica la Democrazia cristiana e il Partito socialista, inoltre ammaccando a tal punto i partitini «laici» da ridurli al lumicino. Un repulisti che aprì alla sinistra vaste praterie dove galoppare in solitario, che le offrì, su un piatto d’argento, il potere e la sua gestione non condizionabile, per mancanza di concorrenti, da esiti imprevisti delle consultazioni. La sorpresa, quella che ruppe le uova nel paniere, fu la discesa in campo di Berlusconi. Fu un partito messo insieme in quattro e quattr’otto che ottenne un consenso immediato e di proporzioni inimmaginabili per chi stava cullandosi sugli allori di Mani pulite. Eppure, nonostante il fallimento la sinistra seguitò a ritenere la via giudiziaria la bocca di fuoco più efficace contesa politica: non un colpo di quell’arma è stato risparmiato a Berlusconi, doppiamente colpevole d’aver occupato un vuoto che tale doveva restare e di averlo occupato con un volume, in consensi elettorali, che ne superava la capienza. Solo recentemente sembrò alla sinistra che il moralismo pruriginoso potesse rappresentare un’arma migliore, comunque alternativa, per abbattere il nemico, costringerlo alle dimissioni gettando nell’elettorato liberale il seme del disincanto. Ma anche questa mossa è fallita, ed è fallita proprio per il disinteresse dell’opinione pubblica per questioni eppure urlate tra un gran fragore di grancassa dalla Repubblica e dai Michele Santori.
Con l’uno o l’altro strumento, si è sempre trattato di iniziative condotte al di fuori delle regole democratiche che esigono sia l’elettorato, il popolo sovrano, a stabilire chi debba e chi non debba governare.

Con l’uno o con l’altro strumento sempre è emersa l’anima totalitaria e giacobina di una sinistra ora rappresentata da quel Franceschini che abbastanza spudoratamente si mise a giurare sulla Costituzione, testo che dovrebbe invece aver cura di aprire e leggere. Subito. Perché a sentire l’Annunziata, a sentire cioè Massimo D’Alema, nel centrosinistra monta una gran voglia di scorciatoie, di una bella «scossa». Che è solo un termine politicamente corretto per dire golpe.

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