Il commento Brancher scippato di diritti e doveri

Dopo la condanna a due anni con rito abbreviato nel processo Antonveneta a Milano dell’ex ministro Aldo Brancher, è opportuno fare alcune considerazioni. I sospetti sulla sua anomala nomina di ministro sembrano aver trovato conferma. E investono tanto Silvio Berlusconi quanto Giorgio Napolitano. Infatti, se è del presidente del Consiglio la proposta, al presidente della Repubblica tocca la nomina. Non voglio ora parlare di Brancher. Ma mi pare che soltanto in un mondo di pazzi la nomina di un ministro sia considerata come una medaglietta o un diploma a un concorso di poesia per dilettanti.
Converrà, il presidente, che essere ministri vuol dire assumere responsabilità, avere uno status che non ha niente a che fare con l’organizzazione pratica. Essere ministro vuol dire avere una visione, pianificare una strategia. In una parola: pensare. E, ancor meglio, nella gerarchia della Chiesa, essere sacerdoti vuol dire assumere un ministero, un servizio per gli altri. Ma essere nominati cardinali, come nella gerarchia della Chiesa,vuol dire avere una responsabilità morale più alta. Napolitano sa meglio di noi cosa volesse dire essere ministro per Francesco De Sanctis e per Benedetto Croce, come per lui, quando fu agli Interni. Nessuno meglio di lui sa che la nomina a ministro è come una consacrazione laica, anche in un ministero, «immateriale», come quello per i rapporti al Parlamento.
Come si spiega allora la sua uscita a gamba tesa, forse per prendere le distanze dalla poco elegante richiesta di «legittimo impedimento», avanzata da Brancher, dichiarando che il nuovo ministro non poteva avere alcun impegno perché il suo era un ministero senza portafoglio? Avrà fatto male Brancher sul piano della sensibilità politica a fare una tale richiesta, ma «l’impegno» di un ministro, nella Costituzione, non è misurato sull’avere o meno il portafoglio, ma sulla dignità, più o meno meritata, implicita nell’investitura. Chi diventa presidente di un organo dello Stato, nel momento in cui è nominato deve assumere la responsabilità del nuovo ufficio, vale a dire idee, principi e metodi per raggiungere gli obiettivi. È questo il senso del «legittimo impedimento». E per primo dovrebbe saperlo Napolitano.
Chi ha un ministero non può essere distratto da più o meno motivate chiamate di un magistrato che gli chiede conto di comportamenti che richiedono spiegazioni e una strategia difensiva comunque impegnativa.
È indubitabile che Napolitano, indispettito per gli effetti indesiderati della nomina, non avrebbe dovuto esprimersi in un modo così secco e mortificante, per il ruolo, non per Brancher.
Un ministro, qualunque ministro, non Brancher, deve prima di tutto (e non può essere che questo lo spirito costituzionale della nuova legge sul legittimo impedimento) assumere la dignità del suo ruolo e iniziare una riflessione libera, approfondita, al di là degli atti e senza turbamenti e disturbi che vengano dall’esterno, fossero anche precedenti responsabilità penali. Se esse dovessero prevalere, allora è più opportuno non nominarlo o attendere chiarimenti. E questa è esclusiva prerogativa del capo dello Stato. Una volta nominato il ministro, il presidente per primo deve rispettarne il mandato, senza azzopparlo o indicarne la natura «minore», come ha fatto Napolitano. Così poco conta un ministro? Così importante è il portafoglio? Più delle idee? Così significativo è un processo? Io, ministro, non avrei detto niente. Alla richiesta di dove fossi, in tribunale, il mio avvocato avrebbe motivato la mia contumacia, dichiarando: «È nel suo ufficio al ministero. Il suo unico, supremo pensiero, è essere all’altezza del nuovo compito, sia per attuare il federalismo, sia per attuare il decentramento».

Il ministro è tale perché ha idee, o dovrebbe averle. Ed esse sono, naturalmente, il suo «legittimo impedimento». Non può andare in tribunale per difendersi quando il suo compito è servire gli altri e pensare a ciò che è utile per tutti.

Commenti
Pubblica un commento
Non sono consentiti commenti che contengano termini violenti, discriminatori o che contravvengano alle elementari regole di netiquette. Qui le norme di comportamento per esteso.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica