Il commento In fumo 40 miliardi se avessimo seguito Prodi

di Claudio Borghi

Quanto ci sarebbe costata l’idea della sinistra di vendere le riserve?
Sono passati meno di tre anni dall’assolata estate del 2007. Quell’anno, in pieno agosto, approfittando della distrazione da spiaggia, l’allora maggioranza di sinistra propose, con una risoluzione votata alla Camera, la vendita delle riserve auree della Banca d’Italia, ricevendo l’appoggio compiaciuto del premier Romano Prodi. L’idea, fortunatamente, non ebbe seguito grazie alla resistenza opposta dalla Banca, alla debolezza della maggioranza al Senato e a una provvidenziale alzata di scudi dell’opposizione. Anche il Giornale fece la sua parte, denunciando con forza l’assurdità di una vendita d’oro, tradizionale bene rifugio che si apprezza soprattutto nei momenti di crisi, al massimo del ciclo economico. Alla prova dei fatti chi aveva ragione? Oggi siamo in grado di fare qualche conto su quanto ci sarebbe costata quella proposta e possiamo già anticipare che avrebbe conquistato a mani basse il posto d’onore nella classifica dei danni provocati dalla sinistra al governo, giocandosela con l’azzeramento delle riserve valutarie del ’92, con la sponsorizzazione dell’ingresso della Grecia nell’euro del 2000 e con l’eliminazione dello “scalone” pensionistico del 2007. Facciamo un passo indietro e ricordiamo che l’Italia dispone di ingentissime riserve d’oro. Abituati come siamo a piangere sui nostri difetti, a volte dimentichiamo i nostri pregi, così in pochi sanno che il nostro Paese è il terzo possessore al mondo del prezioso metallo: fra gli Stati sovrani ci superano solo gli Stati Uniti e la Germania, mentre in termini assoluti, vale a dire includendo gli organismi sovranazionali, scivoliamo di una sola posizione, cedendo solo alle enormi riserve del Fondo Monetario Internazionale. Giusto per dare qualche proporzione il nostro oro, 2.702 tonnellate del valore di circa 110 miliardi di dollari, è cinque volte quello detenuto dalla Banca Centrale Europea, quattro volte le riserve della Russia e più del doppio di quelle di Cina e Svizzera. Va sicuramente dato merito ai due ultimi banchieri centrali, Antonio Fazio e Mario Draghi, di aver saggiamente deciso di tenere i forzieri ben chiusi, perché la rivalutazione dell’oro è stata sensibile. Torniamo quindi alla domanda iniziale: quale sarebbe stato il costo della svendita aurifera targata sinistra? I conti sono presto fatti: all’epoca del tentativo agostano del 2007 il prezzo del metallo giallo era circa 700 dollari l’oncia: quindi, con i prezzi attuali, ormai vicini a 1300 dollari, rintuzzare con successo l’assalto di Prodi ha fruttato alle casse di Bankitalia, e quindi allo Stato (dato che la Banca è ente pubblico), la bellezza di 50 miliardi di dollari, equivalenti a circa 40 miliardi di euro. Per buona sorte l’Unione abbandonò presto il governo, ma altri Paesi dell’eurosinistra sono stati meno fortunati di noi e quindi la palma del disastro dorato va probabilmente alla Spagna di Zapatero, che ha praticamente azzerato le sue riserve, vendendo oro in modo scriteriato proprio mentre il ciclo economico era positivo. Anche al britannico Gordon Brown i nuovi inquilini dell’appena insediato governo inglese conservatore potrebbero domandare dove è finito l’oro, svenduto goffamente molti anni fa. Diciamo che per una volta ci è andata bene. È però proprio in una situazione di mercato come l’attuale, opposta a quella del 2007, che occorre valutare se non possa a questo punto essere conveniente per Bankitalia monetizzare parte del profitto. La salita del prezzo dell’oro sembra infatti assumere caratteristiche simili a quelle di una bolla speculativa e, come tutte le bolle, è impossibile sapere quando scoppierà, ma ad ogni dollaro di incremento questo rischio diventa sempre più concreto. Non mancano nemmeno i tipici segnali di isteria collettiva tipica delle bolle: ha avuto infatti vasta eco nei giorni scorsi l’installazione ad Abu Dhabi di un “bancomat” in grado di distribuire lingottini d’oro.

Insomma, non siamo ancora al livello della frenesia popolare da acquisto, sintomo inequivocabile di un prossimo crollo dei prezzi, ma la febbre dell’oro è già piuttosto alta: non dovrebbe quindi essere un’eresia pensare di “portare a casa” parte dei guadagni miracolosamente sfuggiti agli artigli di quella sinistra (degnamente accompagnata dall’Italia dei Valori, che nel 2008 presentò analoga proposta di svendita) che, nei dibattiti televisivi, ha ancora oggi il bel coraggio di vantare i propri risultati in campo economico.
posta@claudioborghi.com

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