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Il commento La sinistra boicotta lo «scudo» e vuol tassare di nascosto il risparmiatore

di Claudio Borghi

Un venticello insidioso si sta levando da sinistra, una sorta di canto delle sirene che intende affascinare qualcuno nel governo per trascinarlo nello stesso gorgo in cui finì Prodi. La stessa melodia punta anche a un altro scopo, il solito: remare contro gli interessi dell’Italia, anche a costo di fare il gioco degli odiati «paradisi fiscali».
Questa suggestione ha un nome preciso: tassa sui risparmi. Il governo ha preparato bene la manovra per il rientro dei capitali, ha messo molto in chiaro che gli strumenti per pescare gli evasori stavolta ci sono e chi continuerà a sgarrare lo farà finalmente rischiando davvero. Sventolare ora il fantasma dell’aggressione fiscale ai capitali equivale a una vera e propria intimidazione rivolta a chi intende rimpatriare denaro: «Lasciateli lì» sussurra la vocina «perché qui in Italia finiremo per inventare qualche tassa».
Smascherare le sirene è semplicissimo: nei loro ragionamenti la parola «risparmio» non viene mai menzionata, al contrario si usa sempre il termine «rendita», che serve ad allontanare l'idea del vecchietto che arrotonda per sostituirla con l'immagine di un ricco crapulone, probabilmente evasore.
Alla fine comunque i ragionamenti di costoro finiscono sempre allo stesso modo: i mali dell'Italia si risolvono alzando a dismisura la tassazione sui risparmi e chi avrà il coraggio di fare questa mossa geniale verrà portato in trionfo per le generazioni a venire. Lasciando stare le goffe sparate alla De Benedetti che arriva addirittura a proporre la tassa patrimoniale come fosse un Bertinotti redivivo, soffermiamoci a ragionamenti più fini, come quelli proposti giovedì da Francesco Giavazzi sul Corriere. Il professore vorrebbe farci credere che la nostra disoccupazione è bassa anche perché in proporzione sono di meno le persone interessate alla ricerca di un impiego e ne attribuisce la responsabilità al basso livello di tassazione sui risparmi. Fatto salvo un doveroso richiamo al taglio delle tasse sul lavoro c’è di che rimanere sbalorditi: è vero che in Italia alcune categorie sono meno interessate a cercare un lavoro degli omologhi europei, ma veramente esiste qualcuno disposto a credere che il giovane che tarda a uscire di casa protraendo gli studi lo faccia perché talmente ricco di suo da vivere di rendita? E le mamme che scelgono di dedicarsi tempo pieno ai figli e alla famiglia? Tutte rentière da cacciare al lavoro con la scopa? Senza contare poi che se, anche in astratto, una simile idea potesse essere fondata (e non lo è), secondo quale bizzarra teoria aumentando le persone in cerca di impiego può diminuire la disoccupazione?
Le rendite in Italia sono abbondanti, dall’intoccabilità di certi impieghi indipendentemente dal lavoro profuso alle pensioni di molto superiori ai contributi effettivamente versati, ma le persone in piena età lavorativa che possono permettersi di vivere di rendita senza lavorare devono disporre, secondo uno studio di qualche tempo fa commissionato da Merrill Lynch, di almeno due milioni di euro di risparmi e casa di proprietà: sulla media degli italiani (pur considerando come farlocco il reddito medio annuo dichiarato, pari a 18mila euro) si tratta di casi rari come panda, senza contare che di solito si tratta di personaggi attivissimi e che non necessitano certo di spinte per andare a lavorare. Bene del Paese? Non diciamo fesserie, si mira ai risparmi degli italiani, quegli stessi risparmi che consentono di fare da cuscinetto nei momenti difficili e che hanno garantito una vita tranquilla al nostro sistema finanziario nel bel mezzo della crisi.
Va notata infine una chiosa subdola di Giavazzi: «È il momento giusto», dice il professore «perché i tassi sono bassi e la gente non se ne accorgerebbe». In sostanza, freghiamo i soldi nella notte, tanto gli italiani sono scemi e non se ne accorgono. Ricorda il prelievo notturno dai conti correnti di Amato. Certe abitudini non passano mai.
Il risparmio è una ricchezza dell’Italia ed è un tratto virtuoso del nostro tessuto sociale che ci differenzia nettamente dalle abitudini degli altri paesi: una forza che va semmai incoraggiata ulteriormente, anche approfittando delle difficoltà delle altre economie. Aggredirla sarebbe suicida. Confidiamo che Tremonti, nonostante qualche tentazione malsana a volte paia assillarlo, non caschi nella trappola.


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