Il commento Dopo la visita di Clinton la Corea del Nord rinuncerà alla Bomba?

Il commento Dopo la visita di Clinton la Corea del Nord rinuncerà alla Bomba?

Ora che Bill Clinton ha riportato a casa sane e salve le due giornaliste che avevano sconfinato in Corea del Nord ed erano state condannate a 12 anni di lavori forzati, si attende di vedere se la sua spettacolare missione inciderà anche sui rapporti tra Washington e Pyongyang, e in particolare sugli annosi tentativi americani di convincere Kim Jong-il a rinunciare alla bomba atomica. Nulla è finora trapelato sul colloquio tra i due, ma è difficile che in tre ore e un quarto essi non abbiano affrontato l'argomento e gli interrogativi si sprecano. Il dittatore nordcoreano, cui questo incontro ha regalato un grosso successo di immagine, ha affidato all'ex presidente un messaggio per Obama? È possibile che, dopo avere rifiutato la mano tesa della nuova amministrazione, effettuando un secondo test nucleare e lanciando una serie di missili, Kim abbia cambiato idea e voglia riaprire i negoziati bruscamente interrotti un anno fa? C'è motivo di sperare che le nuove sanzioni decise dal Consiglio di Sicurezza e applicate - sembra - anche dai cinesi abbiano convinto il «Caro leader», vittima alcuni mesi fa di un ictus e in difficoltà ad assicurare la successione al suo terzo figlio, che sfidare il mondo intero non è nel suo interesse? Per capire che cosa possa succedere, bisogna partire da alcuni punti fermi. Primo, l'obbiettivo primario di Kim è di superare i negoziati a sei - con Cina, Giappone, Russia, Corea del Sud e Usa - cui finora era affidato il dossier della bomba nordcoreana e trattare direttamente, da pari a pari, con gli Stati Uniti. Secondo, il regime di Pyongyang non è assolutamente affidabile: già due volte, dopo aver preso l'impegno a chiudere il suo impianto di produzione di plutonio a Yongbyon in cambio di sostanziosi aiuti economici, lo ha rinnegato e ha ripreso la corsa verso l'atomica. Per finanziarsi, inonda l'Asia di falsi biglietti da 100 dollari ed è attivissimo nel riciclaggio di danaro e nel commercio di droga. Terzo, la Corea del Nord non si limita a fabbricare bombe per sé, ma sta vendendo la sua tecnologia ad altri Paesi-canaglia: ha fornito un reattore alla Siria, per fortuna distrutto dagli israeliani prima che entrasse in funzione, ne avrebbe costruito uno, nel cuore di una montagna, per i militari del Myanmar e coopera strettamente con l'Iran nella fabbricazione di missili a lunga gittata. Ma, soprattutto, è improbabile che la Corea del Nord, il Paese più repressivo ed isolato del mondo, rinunci volontariamente a una bomba che rappresenta la sua unica carta negoziale. Nella fattispecie, l'approccio soft privilegiato finora da Obama nel rapporto con i Paesi considerati nemici appare perciò poco indicato a conseguire risultati.

C'è il pericolo che Kim si limiti ad approfittare della situazione per guadagnare altro tempo e seminare zizzania tra i suoi cinque interlocutori, senza concedere nulla di irreversibile. Non a caso il New York Times, che pure plaude alla nuova linea di politica estera, invita alla massima cautela e invoca più bastone e meno carota.

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