
Il Leoncavallo ha una capacità indiscussa nel tempo: accendere corto circuiti e paradossi politici. L'ha sempre fatto e lo sta facendo ancora adesso.
Se nel lontano 2015 si era creata una spaccatura nell'ala più estrema della sinistra in Comune ovvero tra il presidente del consiglio comunale Basilio Rizzo e Sel sulla cosiddetta "delibera Leoncavallo" (ribattezzata da Rizzo "delibera Cabassi") che prevedeva una permuta di aree per mettere in regole il centro sociale di via Watteau e con il Pd che faceva quadrato intorno all'allora capogruppo di Sel Mirko Mazzali che si dimise ("Non è un bene per la città che non si sia arrivati ad affrontare una delibera importante come quella sul Leoncavallo" disse l'allora segretario metropolitano del Pd Pietro Bussolati). Ieri alla manifestazione "Giù le mani della città", in difesa del Leoncavallo e contro il Modello Milano, il Pd era presente ma senza bandiere, in bilico tra la dichiarazione del sindaco Sala ("il Leoncavallo è un simbolo da tutelare") e quel modello, sostenuto proprio dai dem, da contestare. Il corteo nazionale, nato per protestare contro lo sgombero del Leoncavallo del 21 agosto, è diventato infatti un collettore di proteste, polemiche e dissenso - c'era anche uno spezzone per la tutela de Meazza - contro la gestione che l'amministrazione Sala ha portato avanti finora, avviluppandosi in una giravolta con doppio salto mortale. Ma tant'è. Anche il sindaco da gennaio ha iniziato a occuparsi del centro sociale più famoso d'Italia offrendo come sede alternativa e regolare il capannone pieno di amianto a Porto di Mare che sarà messo a bando dopo che ad agosto sono state pubblicate le linee guida per l'assegnazione. Tra i requisiti per partecipare, la bonifica dall'amianto da 200mila euro: così se da un lato il Comune ha preparato un bando aperto a tutti i soggetti di promozione culturale, anche se ha tutte le sembianze di un bando cucito sulla pelle dell'associazione delle Mamme, dall'altro appare sempre più un miraggio per i militanti di via Watteau, visti proprio i fondi da raccogliere. Per altri versi il fatto che le fondamenta dell'ex cartiera di proprietà della società L'Orologio (gruppo Brioschi) della famiglia Cabassi siano di fatto vincolate per motivi artistici, rende immodificabile lo spazio. O, meglio, i muri di Dauntaun, il seminterrato del Leoncavallo, sono stati messi sotto tutela dalla Soprintendenza Archeologia, Belle arti e Paesaggio del Comune (organo territoriale del ministero della Cultura) nel 2023. Ad accendere la miccia della burocrazia, la visita dell'allora assessore alla Cultura Vittorio Sgarbi (giunta Moratti) nel 2006, che li definì "La Cappella Sistina della modernità" - da lì si susseguirono un catalogo, due mostre e, in occasione delle Giornate del contemporaneo, la trasformazione del centro sociale in un museo a cielo aperto. Con Sgarbi che venne diffidato da mettere piede all'interno del centro sociale dall'allora sindaco Moratti. Un vero corto circuito a destra.
Dal 2023 i graffiti del Leoncavallo sono tutelati dal Codice dei beni culturali e per questo non possono essere coperti, distrutti o rimossi dai muri dello stabile senza l'autorizzazione della stessa Soprintendenza. Ora che i Cabassi hanno riavuto indietro l'ex cartiera non possono farci molto, dal momento che la tutela riguarda sì i graffiti, ma nel luogo in cui sono stati realizzati.
Il paradosso in cui si trova lo stabile è che diventa oggetto di uno scontro tra due ministeri: il Ministero dell'Interno che lo ha liberato e il ministero per i Beni culturali che lo difende. Se la proprietà volesse eliminare il vincolo dovrebbe fare ricorso, così per altri versi non risulta che l'immobiliare L'Orologio abbia presentato un progetto per via Watteau.