Comune, troppi poteri in materia urbanistica

Pietro Samperi*

Dichiarazioni ufficiali e notizie di stampa, peraltro ancora sommarie, informano che la Regione Lazio starebbe predisponendo un disegno di legge inteso a concedere al Comune di Roma larghe deleghe - o, addirittura, completa autonomia - in materia urbanistica, al fine di semplificare e accelerare le procedure amministrative. In poche parole, il Comune approverebbe direttamente il Piano regolatore, evitando l’esame e il controllo della Regione. Non ci si può nascondere che una soluzione del genere presenti problemi di legittimità, di natura tecnica e di pratica attuabilità. In realtà, però, sembra trattarsi dello studio di una soluzione intermedia, alquanto complessa, attraverso la quale, rispettando almeno formalmente le norme legislative statali in vigore, il Comune di Roma - e forse anche la Provincia - parteciperebbero direttamente al processo di approvazione dei provvedimenti urbanistici comunali. A questo punto, la soggezione politica sempre esercitata - tanto più in questo momento - dal Comune di Roma sui cosiddetti enti sovraordinati (Regione e Provincia) gli consentirebbe di assumere nel processo un ruolo di assoluto rilievo.
Ma se ci riferiamo alla riforma delle autonomie locali (legge 142/1990 e L.R. 38/1999), la soluzione potrebbe apparire, paradossalmente, un espediente che consentirebbe alla Regione di tornare ad assumere un ruolo che tale riforma attribuisce ormai alla Provincia, non appena sarà approvato - il che appare ormai prossimo - il Piano territoriale provinciale. Pertanto, in questa operazione l’ente che certamente verrebbe a trovarsi privato di poteri è la Provincia. A questo punto, non si vede perché una procedura del genere per approvare gli strumenti urbanistici generali non si applichi anche agli altri comuni del Lazio, almeno a quelli sopra 30.000 abitanti.
Si pone però il secondo ordine di problemi, quello tecnico, a mio avviso il vero nodo del problema. Il Quadro di riferimento territoriale regionale (adottato nel 1998 dalla giunta Badaloni e, senza modifiche, riadottato nel 2001 dalla giunta Storace), ha dimostrato che Roma e un vasto territorio circostante hanno risolto in qualche modo l’annoso problema dell’isolamento della prima e dell’arretratezza del secondo grazie allo sviluppo di rapporti biunivoci, come conferma il pendolarismo incrociato fra capoluogo e territorio. Ne è nata un’integrazione che ha prodotto uno sviluppo economico e sociale che va ora razionalizzato e incentivato soprattutto attraverso una gestione unitaria dei maggiori problemi dell’intero territorio. Se la gestione degli strumenti urbanistici del Comune di Roma, che occupa la parte centrale di questo territorio, fosse differenziata da quella di quest’ultimo si ridurrebbe, fino ad annullarsi, la possibilità di adottare l’unità di indirizzi e il coordinamento degli interventi che occorrono per il buon funzionamento di un’area metropolitana, quale è ormai quella di Roma. A questo riguardo, quel Quadro di riferimento abbozza anche alcune concrete soluzioni. Aggiungasi che una serie di situazioni particolari che qualificano la città come capitale universale - non solo della Repubblica - pongono ulteriori condizioni, soprattutto nei rapporti con lo Stato, per definire il suo assetto amministrativo, non meno di quello urbanistico.

Non comprendere queste realtà e quanto ne consegue per la ricerca di un nuovo modello amministrativo complessivo significa non conoscere la reale situazione di Roma, oltre che quella delle altre città ai cui assetti amministrativi spesso troppo superficialmente ci si ispira per definire quello di Roma. (...)
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